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In collaborazione conViaggio nel triangolo d’oro dell’India: un'esperienza con Creo Travel
In una settimana non si può conoscere davvero l’India, tanto è vasta, multiforme e sfaccettata. In una settimana, però, ci si può immergere completamente nel suo esotico abbraccio, tra capolavori architettonici, atmosfere oniriche ed esperienze appassionanti.

Quando mi hanno proposto di partecipare a un viaggio di gruppo in India, il mio fervore è stato sfumato da una certa dose di diffidenza: un autore Lonely Planet è abituato a viaggiare da solo e il valore di ogni esplorazione è per lui legato all’intimità raggiunta con i luoghi attraversati. La condivisione è un obiettivo, ma anche un potenziale ostacolo senza la libertà di sottrarsi ad essa. E ancora, avevo dubbi che l’organizzazione necessaria a governare gli spostamenti di venti persone potesse annacquare l’esperienza, e che i tempi morti soffocassero ogni slancio d’improvvisazione. Così, la prima notte, appena arrivato a New Delhi con un comodo volo diretto da Roma, dopo aver respirato a pieni polmoni quell’inconfondibile profumo di smog e vaghi effluvi tropicali, spezie roventi e lerciume che annuncia solennemente l’ingresso in India, sono andato a dormire curioso di scoprire che cosa mi riservasse il destino.

L’indomani, ho particolarmente apprezzato il fatto che la prima tappa del nostro tour sia stata una città fuori dalle rotte turistiche più battute: Mandawa, circa 250 km ad ovest di New Delhi, nota in tutto il Rajasthan per le cosiddette havelis, le opulente abitazioni che i mercanti locali decorarono con esuberanti affreschi a partire dal Settecento. Non so se sia stato per la stanchezza, per quella sovrabbondanza sensoriale a cui l’India espone qualsiasi viaggiatore, per lo sbigottimento di ritrovarmi ad accogliere tutte insieme in un solo sguardo imperturbabili mucche, simboli induisti, donne variopinte ammantate di un’eleganza arcana, negozietti ricolmi di merce, rifiuti, edifici diroccati, raffinati dipinti, ma Mandawa come per un sortilegio mi ha trasportato in una dimensione incantata. Di sicuro, poi, la possibilità di dormire in una di quelle havelis, in una stanza più simile all’ambientazione di una favola che alla realtà quotidiana, tra le melodie dei musicisti locali e gli inquieti versi dei pavoni nei sontuosi cortili circostanti, ha contribuito a prolungare quella conturbante sensazione.

Le meraviglie di Jaipur
Abbiamo passato i due giorni successivi nella principale città del Rajasthan: nel 1727 il maharaja Jai Singh II decise di costruire una nuova capitale per il suo regno, che lasciasse a bocca aperta i visitatori per l’ampiezza delle strade, la regolarità della planimetria, la coerenza architettonica. A distanza di tre secoli l’effetto è sempre lo stesso: le monumentali sequenze di edifici, dipinte in occasione della visita del principe di Galles alla fine dell’Ottocento, dall’inconfondibile color mattone (o rosa, nell’epiteto con il quale la città è nota nel mondo), l’immenso City Palace con i suoi cortili e le maestose sale, l’enigmatico Osservatorio Astronomico dalle geometrie metafisiche, l’Amber Fort e gli elefanti che barriscono ai piedi delle sue mura, rivaleggiano in magnificenza con le immagini sbalorditive che ogni viaggiatore vagheggia prima di partire, quando l’India è ancora solo un tormento e un desiderio della mente.
Visitare tutte questi siti in gruppo è stato molto piacevole, soprattutto grazie alla preparazione e al carisma della nostra guida. Ma più dei monumenti, ho apprezzato il novero di proposte esperienziali che hanno intensificato il nostro contatto con Jaipur: la cerimonia in un tempo indù dedicato a Lord Krishna, tra danze e balli rituali, e senza turisti oltre a noi; la cena con tanto di cooking class presso una famiglia del posto, ad imparare a fare un chapati di prim’ordine; il giro in jeep scoperta tra le strade di Jaipur al tramonto, per un tuffo carpiato nello sconcertante traffico di una metropoli indiana; la cena all’interno dell’Amber Fort ammirando al chiaro di luna (e di nuovo, senza altri turisti) i ciclopici volumi dell’antico palazzo.
In viaggio verso Agra
Quando siamo partiti per Agra, la mattina del quinto giorno, mi sentivo ormai perfettamente a mio agio in quella dimensione di gruppo, e bramoso di nuovi effetti speciali. Se da un lato la densità di visite ed esperienze adulterava il ritmo più meditativo che, nel mio immaginario, contrassegna la dimensione più profonda di un viaggio, dall’altro la traboccante intensità di quelle giornate era estremamente seducente. E anche in quel caso, il viaggio di 240 km è stato scandito da tre piacevoli, e per nulla scontate, tappe intermedie: il Galta Ji, appena fuori Jaipur e immerso in un superbo scenario naturale, è un’importante meta di pellegrinaggio: i devoti raggiungono il complesso di templi per compiere abluzioni rituali nelle vasche sacre, vegliati dalle numerose scimmie che affollano l’area. Il Chand Baori, un profondo pozzo a gradini nei pressi del villaggio di Abhaneri, spicca invece per le geometrie ipnotiche, come in un’incisione di Escher. E poi c’è Fatehpur Sikri, la capitale decaduta del grande imperatore Moghul Akbar, con i suoi edifici che fondono linearità islamiche e suggestioni induiste, che abbiamo lasciato nella luce avvampante del tramonto.
Mica male per una giornata di trasferimento, ho pensato, una volta giunti ad Agra, ormai a sera inoltrata.
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Una delle architetture più celebri al mondo: il Taj Mahal
La prospettiva di visitare il monumento più visitato al mondo sollecita tutta una serie di riflessioni sul turismo di massa, la sua imperante normatività, la ripetitività dei percorsi da esso tracciate. Per questo, l’idea di rivedere il Taj Mahal dopo più di vent’anni dall’ultima volta, in mezzo all’ineludibile massa di viaggiatori in preda alla frenesia da selfie, non mi elettrizzava particolarmente. Ed invece, l’esperienza in assoluto più emozionante del mio viaggio in India è legata proprio al Taj Mahal: quella mattina ci siamo alzati alle 5.15, raggiungendo un ampio prato su una piccola collina per una lezione di yoga. Pur non essendo un cultore della disciplina, la vista solitaria, privata, confidenziale della cupola del Taj Mahal, da quella posizione tutta per noi, in mezzo ad eserciti di pappagalli che salutavano lo spuntare del giorno, ha rappresentato un dono tanto prezioso quanto inaspettato. Ma in tutti i casi, anche per chi l’ha già ammirata e a dispetto di qualunque esitazione o snobismo, la sontuosa tomba che il quinto sovrano della dinastia moghul, Shah Jahan, fece costruire per la moglie prediletta non può non sbalordire, perché, se esiste al mondo un’architettura in grado di trascendere il concetto di perfezione formale, di trascendere l’idealità, è certamente questa. E, prima di partire per New Delhi, l’eco dell’ubriacante epifania estetica si è estesa anche alla visita del Forte di Agra e al Mausoleo di I’timad-ud-Daulah.

Ultima tappa: New Delhi
Poiché la capitale dell’India è una megalopoli sconfinata e con un’infinità di potenziali attrattive, ero molto curioso di capire quale itinerario sarebbe stato allestito per noi. E ancora una volta ho particolarmente apprezzato l’articolazione della giornata, l’ultima del nostro viaggio, che ha abbinato must assoluti come il complesso di Qutb, con il minareto in mattoni più alto al mondo, e la secentesca Jama Masijd, ad alcuni siti meno noti, come il tempio sikh Gurdwara Bangla Sahib. Anche il giro per i labirintici vicoli di Old Delhi ha rappresentato un bel diversivo, mentre una certa nostalgia iniziava ad invadermi, perché già si approssimava il tempo in cui sarebbe stata infranto quel senso di entusiasmante e fragile fratellanza che il viaggio aveva creato con alcune persone. E così, in un battito di ciglia mi sono ritrovato all’aeroporto, per il volo notturno, i saluti, il ritorno a casa. In definitiva, quella con Creo Travel è stata una bellissima avventura: tutti i viaggi organizzati e di gruppo, infatti, presuppongono delle limitazioni; non tutti i viaggi organizzati e di gruppo, però, sono realizzati con altrettanta competenza.