"Tutti appartengono all'isola": alla scoperta di Nuku Hiva, la "Terra degli Uomini"
"Abbiamo una prigione minuscola", dice William. Siamo arrivati alla fine di un polveroso sentiero di montagna, siamo sospesi sulla baia Taioha'e Bay dove vediamo di nuovo un segno di civiltà. Parlare di civiltà è un concetto relativo in questo contesto. Sono i primi edifici che vediamo da quando abbiamo lasciato l'aeroporto di Nuku Hiva, più di un'ora fa. Nessuno è più alto di un piano.
Abbiamo guidato attraverso valli rigogliose e senza fine, sobbalzando sui sedili per le strade sconnesse e tortuose fiancheggiate da strapiombi, evitando i galli che si paravano ogni tanto davanti alla Land Rover. Dal finestrino abbiamo accarezzato i pony selvaggi rimanendo al sicuro dentro la macchina. Siamo sorpresi nel vedere di nuovo dei segnali di vita dopo un'ora. Scrutiamo gli edifici.
"Sì, è una prigione davvero minuscola. Ci sono solo tre persone dentro."
"Che crimini hanno commesso?"
"Oh, qua non c'è criminalità," risponde, tornando verso la Range Rover. "Ci conosciamo tutti troppo bene."
"Allora perché sono in prigione?"
William dice qualcosa in francese ad una persona del nostro gruppo che capisce la lingua. "Ubriaconi," traduce. "Ecco chi c’è là dentro."
Nuku Hiva ha 3 mila abitanti, una quantità infinita di animali selvatici e tre ubriaconi. È la seconda isola più grande della Polinesia Francese e la più grande delle Isole Marchesi, una divisione amministrativa che fa parte della Polinesia. Nessuno dei nostri telefoni prende: l'isola dovrebbe avere la connessione 2G ma nessuno sembra aver capito come o dove si trovi segnale. I nostri telefoni rifunzioneranno quando lasceremo l'isola. Se siete in cerca di un po' di disintossicazione digitale, quest'isola paradisiaca è ciò che fa per voi.
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Raggiungiamo la baia dopo un'altra mezz'ora. Non vediamo nessun edificio o terreno di fattoria a indicare la presenza umana. Qua la popolazione è concentrata in poche aree mentre il resto del territorio è ricoperto dal bush. Un cavallo senza sella è legato ad un albero, ci fissa come un cagnolino legato all'ingresso di un supermercato.
Gruppi di uomini riemergono dagli alberi, non indossano la maglietta, solo pantaloni corti stile cargo. Tutti conoscono William, la nostra guida, e tutti sembrano collocarsi in un punto fermo a metà tra lavoro e svago. Sull'isola ogni uomo tra gli 8 e gli 80 anni si saluta con un pugnetto e uno shaka, il segno che si fa agitando la mano con pollice e mignolo aperti e le tre dita centrali chiuse, comunemente associato alla cultura del surf hawaiana ma diffuso anche in tutta la Polinesia francese.
Un gruppo di ragazzi con le casse dell'iPhone nello zaino e un cinghiale legato alla corda sono seduti in una radura, raccolti intorno ad un falò. Alla fine uccideranno il cinghiale ma nessuno sembra avere fretta di farlo. La temperatura è piacevole, siamo di ottimo umore e William non si stanca di ripeterci "qui, non servono i soldi."
Il giorno dopo scopro che Nuku Hiva significa letteralmente "Terra degli Uomini". A parte Kangaroo Island in Australia, non riesco a pensare ad un altro posto che possieda un nome così appropriato come quest'isola. Gli abitanti delle Marchesi sono famosi per essere molto fieri della propria cultura, si battono per difendere la loro reputazione di animi coraggiosi. Nuku Hiva non fa eccezione.
Ci portano a vedere la lavorazione di una casse tête, una clava di palissandro. Per coloro con un livello di francese scolastico (è il caso di rispolverarlo prima di venire nella Polinesia francese) casse tête significa "rompicapo", un nome adorabile per descrivere la sua efficacia nel frantumare teschi. I siti archeologici di Nuku Hiva sono una testimonianza della meritocrazia guerriera che vigeva nell'antica società locale, in cui anche gli uomini delle classi sociali più basse potevano arrivare a ricoprire posizioni prestigiose se dimostravano coraggio, forza e astuzia.
Domando se lo stesso discorso vale anche per le donne. No, mi rispondono. Non potevano ricoprire gli stessi ruoli degli uomini nella società tribale. Proseguiamo. Il giorno seguente mi trovo nell'unica farmacia dell'isola. Ha più o meno le dimensioni di quattro cabine telefoniche messe insieme e una delle pareti è interamente dedicata alla biancheria contenitiva.
Questi indumenti in lycra strizza-pancia sono familiari a molte donne per esperienza diretta o tramite storie dell'orrore bisbigliate tra amiche. La mia breve esperienza si è conclusa quando ho deciso che non valeva la pena sopportare quest'orribile disagio e ho lanciato la panciera nel cestino della toilette senza troppe cerimonie. Ci sono 35 gradi, gli uomini stanno senza maglietta e le donne comprano guaine contenitive.
La cosa affascinante è che l'energia da guerriero delle Marchesi si è quasi esaurita a causa delle malattie portate dagli invasori europei, lasciando il posto ad una nuova generazione di uomini molto meno virile. Ci imbattiamo in un gregge di capre, ammassato precariamente su un dirupo impervio che svetta su Hatihe'u Bay. Gli hanno lasciato un abbeveratoio. "Chi ha messo questo?" Chiedo mentre mi guardo in giro. Non ci sono case, recinti, non piove da giorni. Da dove arriva quest'acqua?
La nostra guida alza le spalle. Qualcuno, o più di uno, che vive da qualche parte. Queste capre appartengono alla gente e sono accudite da tutti. Queste capre sono semplicemente un dono da parte della natura e usate come tale, come da usanza. Così come i cavalli. Così come il cinghiale. Lo stesso atteggiamento si adotta nella produzione. L'albero del pane, il taro, la manioca e l'albero da cocco crescono in abbondanza, e il fumo delle noci di cocco può essere visto da ogni angolo dell'isola.
Si fa particolare attenzione alla sostenibilità anche per quanto riguarda i prodotti importati. La linfa vitale dell'isola è l'Arunei, metà crociera, metà nave da carico. Guidiamo fino al porto e lì ci rendiamo conto dell'incredibile efficienza della nave: da una parte scendono i turisti, dall'altra le merci.
Sacchi e scatole vengono caricati sui pick-up senza un coordinamento superiore. Alcuni uomini arrivano, caricano, si battono il pugno e ripartono. L'Arunei è un oggetto di studio affascinante per chi si interessa dell'effetto delle navi da crociera sull'ambiente e le comunità portuali, dove i passeggeri spendono raramente il loro denaro.
Ogni minima cosa qua viene usata, rispettata, ripiantata, rigenerata. L'isola appartiene a tutti e tutti appartengono all'isola. Per quanto sia teoricamente un concetto bello e nobile, sulla pratica può essere molto interessante. Specialmente quando i galli hanno tutto il diritto di cantare sul territorio di Nuku Hiva esattamente come chiunque altro, e scelgono come luogo preferito per farlo la porta di casa vostra.
Alloggio al Pearl Lodge, l'unica soluzione di lusso di Nuku Hiva; è una proprietà incantevole con 20 bungalow, piscina enorme e spiaggia privata. Costa 243€ a notte ma né il lusso né i soldi vi risparmiano il canto dei galli. Se state pensando di passare la notte su questa isola da sogno, mettete in valigia i tappi per le orecchie o sperate che uno dei baldi giovani di Nuku Hiva sia colpito da un'irresistibile voglia notturna di galletto arrosto.
Sono tantissime le storie di viaggiatori che hanno visitato le Marchesi per poi non riuscire ad abbandonarle. Paul Gauguin e Jacques Brel hanno vissuto sull'isola e sono morti qui. Prima di scrivere Moby Dick, Herman Melville ha trascorso del tempo a Taipivai, vivendo tra le ultime comunità di cannibali rimaste al mondo. Non è una storia difficile da immaginare.
Osservando l’isola in piedi davanti al paesaggio della valle Hakui, velato da una leggera nebbiolina proveniente dalle cascate Vaipō, avrete la sensazione che Nuku Hiva assomigli all'inizio o alla fine del mondo. La sua bellezza lunatica lascia senza parole, le immagini dell'isola diventano ricordi indelebili. William ha ragione: i soldi non servono quando vivi qui. A tutti tranne che alle donne a cui viene intimato di comprarsi una panciera.