Oman: il deserto disegnato dall’acqua
L’Oman nord-orientale è uno sperone di roccia che sfida i flutti dell’Oceano indiano, ma tutto attorno è circondato dal deserto. Quello della penisola arabica è uno dei deserti più torridi e terribili al mondo e così l’Oman, come un sasso abbandonato sulla sabbia sotto un sole cocente che ne sbianca la superficie, è rigato da mille crepe e fratture.
Immaginate di zoomare, come si fa con Google maps, in queste fratture. Man mano che ci si avvicina, un’incredibile e inaspettata ricchezza riempie le crepe sulla superficie dell’Oman: sono i wadi. È una parola che genericamente in arabo definisce i letti di fiumi non perenni, quindi valli, vallate, gole e persino regioni, e qui identifica dei canyon meravigliosi. Percorrendo le montagne del Hajar, che i babilonesi chiamavano ‘montagne di rame’ e sono infatti screziate di vene verdi chiaro, colore dell’ossido di questo metallo, si vedono solo rughe profondissime che disegnano percorsi neri sulla superficie chiara. Ancora avvicinandosi, giochi di luci e ombre paiono filtrare da una persiana gigante nel cielo. Presto fanno capolino, come se attendessero dietro l’angolo, le chiome rigogliose di un’infinità di piante. Si cela fra le pieghe del terreno, come un erbario fra le pagine di un libro, la stupenda, esotica e dolce natura dell’Oman.
Queste ‘oasi lineari’, si inoltrano nella montagna per chilometri, percorse sul fondo da torrenti di acqua cristallina, alcuni dei quali capaci di piene improvvise e pericolose al primo acquazzone. Ciò che rende l’Oman una delle destinazioni preferibili per gli appassionati di outdoor e i dipendenti da adrenalina, sono proprio i wadi come Wadi Shaab. È una lunga e profonda gola, che si insinua per chilometri nella roccia, diventando sempre più stretta, mentre macchie di palme e giunchi, piscine profonde e tratti di ciottoli su cui scorre un leggero velo d’acqua passano senza lasciare un attimo di respiro. Infine, una piscina turchese, nella quale si prosegue a mollo, fra tratti torrentizi e pozze di acqua blu dove si può solo nuotare. Una strettissima crepa nella roccia, nella quale passa la larghezza di una testa, introduce a una grotta che assume le sembianze di una cattedrale dell’acqua, dove celebrare la ricchezza dell’Oman con tuffi da sei metri di altezza.
Ma non è solo questa la magia dell’acqua nascosta in Oman. Fin dal VI secolo, ma si potrebbe retrodatare fino al 2500 a.C., ci si rese conto di come questo dono non dovesse essere dissipato e fu introdotta la tecnologia dei falaj, in uso ancora oggi. Chilometri di canalizzazioni che portano l’acqua dalla base delle montagne a irrigare vasti appezzamenti di terreno. Tutto attorno, torri di guardia, in molti casi ancora ben conservate, ne controllavano uso ed abuso. Oggi le canalizzazioni sono patrimonio dell’UNESCO (dal 2006), ma soprattutto sono un esempio antico di bene comune, rispettato e preservato anche perché consente la sopravvivenza degli immensi palmeti che circondano, di nuovo apparendo all’improvviso, villaggi tradizionali come Misfah e Al Hamra. Palmeti e abitati sono un tutt’uno: le antiche case color sabbia accolgono le fronde delle palme dalle finestre e oggi sono riconvertite in guesthouse che le salvano dall’abbandono. Qui, fra caffè e datteri, si possono consumare pranzi tradizionali, seduti attorno a tavoloni comuni, in alcuni casi seduti per terra. L’hummus, carta d’identità gastronomica del medio oriente, non manca mai. E poi zuppe, riso, carne di pollo e di montone e spezie, spezie a non finire.
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I frutti delle palme, i datteri, offerti in ogni momento del giorno e della notte, carburante e conforto nel caldo atroce, impiegati nel tempo per mille usi, ci conducono al passo successivo: nei fiabeschi castelli seicenteschi del periodo in cui l’Oman resisteva ai portoghesi. In questi avamposti, che rappresentavano il controllo del territorio e l’esercizio del potere, abitavano le guarnigioni e gli imam, capi spirituali e politici dell’interno del paese. Sono quindi opere di ingegneria militare ma anche lussuose residenze, con dipinti, intagli e divani. Ad esempio ingegnosi sistemi di botole permettevano di ustionare con olio di dattero bollente il nemico mentre si apprestava a introdursi nelle fortificazioni. Jabreen, dall’incomprensibile planimetria e raffinate decorazioni, Bahla, dal disegno essenziale, quasi moderno e Nizwa, antica capitale, riescono ad ammutolire il visitatore: cupole e torri, scalette e passaggi segreti, scorci che portano le voci dei bazar e gli odori del caffè.
Sono torri e forti anche quelli di Sur, dove l’acqua dei wadi incontra quella dell’oceano. La città, ancora intimamente legata al mare, alla pesca e al commercio marittimo, è stata uno dei porti più importanti dell’Oman e dell’Oceano indiano, nel mezzo del tratto di costa dove echeggiano ancora le storie di Sindbad il marinaio e si dice sia davvero passato Marco Polo. Qui di certo galleggiano ancora le stesse barche che videro Marco e Sindbad, i dhow. Diffusi dal Golfo Persico sino a Zanzibar, sono costruiti in quello che è uno dei più particolari musei di marineria che si possano visitare, perché più che un museo è un vero e proprio cantiere dove si sta spalla a spalla coi maestri d’ascia. I dhow hanno navigato e navigano su e giù per questa costa, incrociando milioni di volte la rotta con quella delle tartarughe marine. La tartaruga franca o verde, la tartaruga embricata e meno frequentemente anche la tartaruga liuto o la tartaruga olivastra ogni anno approdano al santuario marino di Ras Al Jinz per deporre le uova. La riserva che le tutela consente a gruppi di visitatori di tentare di incontrarle, cosa che nelle stagioni adatte avviene abbastanza di frequente. Non solo la sera, ma anche e soprattutto all’alba, che qui sull’Oceano indiano è un’alba senza confini. Le tartarughe ci permettono di assistere all’ennesima magia dell’acqua che regala l’Oman.
Qualche regalo, però, può anche portarlo il visitatore con sé. Nei bazar dell’Oman, in quello di Nizwa, con la pittoresca fiera del bestiame, o in quello coperto di Muscat, la capitale del paese, si possono fare acquisti che suggeriscono, in chiave moderna, come la storia di Sindbad il marinaio e di Marco Polo ancora continui. Qui sul versante meridionale del Golfo Persico e più vicini all’India che a Milano, si possono trovare pashmine che giungono da oltre Oceano Indiano a prezzi più che concorrenziali, così come khol, di un nero profondissimo, venduto a pochi centesimi. Se il souvenir per eccellenza è il kanjar, il pugnale ricurvo che troneggia anche sulla bandiera del paese, anche la modernità riserva bizzarre sorprese, ad esempio l’incensorio da accendisigari - un mai più senza di tutto rispetto.