In Messico da Teotihuacán alla Baja California Sur: piramidi, canyon e mare

Il Messico è grande circa sette volte l’Italia, eppure a guardare le carte geografiche non si direbbe. Del resto, si sa, le mappe ingannano. Come è facile immaginare, questo paese sconfinato ha molto da offrire a chi ama storia, arte, mare, natura e buona cucina. Il viaggio che vi raccontiamo è un itinerario dalle piramidi preispaniche a canyon vertiginosi, fino alle spiagge della Baja California Sur. Seguendolo, potrete trascorrere un paio di settimane (almeno) tra scenari naturali e culture antiche, vivendo alcune tra le esperienze più incredibili che questo immenso Paese ha da offrire.

In volo sulle piramidi di Teotihuacán. Credits Fabrizio Lava
In volo sulle piramidi di Teotihuacán. Credits Fabrizio Lava
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Teotihuacán: le piramidi in mongolfiera

La sveglia suona alle 4 del mattino, dobbiamo raggiungere Teotihuacán, la più grande città del Messico antico e volare sopra le sue imponenti piramidi. In mongolfiera, s’intende.

È ancora buio, ma all’orizzonte si intravedono le luci dell’alba mentre, come fuochi fatui, le fiamme che gonfiano i palloni creano un’atmosfera surreale. Spunta il sole, si parte ed è subito stupore: intorno a noi, più in alto e più in basso ci sono decine di mongolfiere colorate, sembra di essere in un libro per bambini.

Sorvoliamo la Piramide del Sol, 70 metri di altezza, la terza più grande del mondo. Lo sguardo segue il lungo viale sul quale si affacciano i resti degli antichi palazzi. Laggiù, ecco la Piramide della Luna, la più piccola ma anche la più aggraziata. Intanto, il capitano della mongolfiera ci racconta la storia di Teotihuacán, città che arrivò ad avere oltre 100 mila abitanti. Qui, tra il I e il VII secolo d.C., si sviluppò il più grande impero preispanico messicano ed è qui che è nato il culto di alcune divinità che saranno venerate ancora dagli aztechi, molti secoli più tardi, come il serpente piumato.

Guardare dall’alto queste rovine è un’esperienza che ha qualcosa di magico: silenzio, colori saturi, due vulcani all’orizzonte e l’immensa Città del Messico sullo sfondo. Con un solo sguardo abbracciamo il passato e il presente di questa terra che da secoli è la culla di grandi civiltà.

Barrancas del Cobre. Credits Fabrizio Lava
Barrancas del Cobre. Credits Fabrizio Lava

Barrancas del Cobre e Chepe Express: il selvaggio nord

Chihuahua (che in lingua raramuri significa ’luogo arido e sabbioso’) è il capoluogo dell’omonimo stato, il più grande del Messico. Nella Plaza de Armas risuonano i tamburi e i ragazzi danzano in abiti tradizionali. La barocca Catedral, con i suoi campanili alti 40 metri, è colma di fedeli per la messa della domenica. Nel magnifico Palacio del Gobierno si ammirano i murales che raccontano pezzi di storia. Ecco il Messico in purezza: pochi turisti, ritmo lento scandito dalla vita di ogni giorno. Questo è il nord, terra di frontiera fatta di deserti e montagne, canyon e cowboy, eroi della rivoluzione (come Pancho Villa) e popoli nativi.

Siamo diretti al Barrancas del Cobre, il Canyon del Rame (perché del rame ha il colore). Nei pressi di Cuauhtémoc visitiamo la comunità mennonita, un gruppo religioso di origine europea. A raccontarci la loro storia è Abraham, che incontriamo davanti a una modesta casa di campagna. Ci accoglie con la tradizionale salopette e la camicia a quadri in un tinello, tanto ampio quanto spoglio. Al centro un grande tavolo in formica, alle pareti le foto di famiglia che invitano ad approfondire visitando il Museo y Centro Cultural Menonita.

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Nella Valle de los Monjes (la Valle dei Monaci). Credits Fabrizio Lava
Nella Valle de los Monjes (la Valle dei Monaci). Credits Fabrizio Lava

Ci lasciamo alle spalle lo sconfinato deserto che è un terzo di tutta la superficie dello stato. La strada s’inerpica sulla Sierra Madre, l’aria diventa frizzante, la vegetazione è rigogliosa, il panorama alpino.

Eccoci a Creel, minuscolo avamposto tra meraviglie naturali a quota 2300 metri che oggi vanta anche un piccolo aeroporto. Visitiamo la Valle de los Monjes (la Valle dei Monaci), le cui imponenti formazioni rocciose che si innalzano in verticale hanno ispirato il nome di “Valle dei peni eretti”. Benvenuti nella terra di “coloro che corrono veloci”, i Raràmuri o “Tarahumara”, come li chiamarono i colonizzatori spagnoli. Popolo indigeno noto per la leggendaria capacità di correre anche più di cento chilometri, calzando semplici sandali in cuoio, vivono in una terra impervia, bella e impossibile, fatta di valli profonde e alte montagne.

Vale la pena trascorrere qualche giorno in questi luoghi remoti, per conoscere questa antica comunità nativa capace di vivere isolata e in perfetta armonia con una natura aspra e inospitale ma spettacolare al tempo stesso.

Ferrocarril Chihuahua – Pacifico. Credits Fabrizio Lava
Ferrocarril Chihuahua – Pacifico. Credits Fabrizio Lava
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Un’ora di macchina e siamo a Divisadero, sul ciglio del Canyon del Rame. Ci affacciamo, lo fotografiamo, guardiamo l’orizzonte cercando di frenare la vertigine e misurare l’infinito con gli occhi. Qui c’è il Parque de Aventura Barrancas del Cobre, un concentrato di attività adrenaliniche: la seconda zip line più lunga al mondo, una via ferrata sospesa sulle pareti verticali, funivia, ristoranti. Il nostro hotel è una romantica camera con vista su un palcoscenico dove il sole gioca a nascondino col canyon. Per ammirare questa danza della natura, prendete posto in terrazza o accanto al camino, al tramonto. Di fronte a voi, lo spettacolo ha inizio ed è un lungo slow motion verso il buio più totale che rivela lentamente un tappeto di stelle.

Sono 656 i chilometri che copre il Ferrocarril Chihuahua – Pacifico, la linea ferroviaria che unisce il capoluogo dello Stato all’Oceano Pacifico. Il tratto più panoramico parte da Divisadero, attraversando gallerie e ponti che si affacciano su panorami sublimi. Per scendere fino a El Fuerte, nello stato di Sinaloa, impiega cinque ore, il tempo che ci vuole per godersi il panorama affacciati ai finestrini e lasciarsi coccolare dal lussuoso El Chepe Express, fiore all’occhiello delle ferrovie del Messico, vero viaggio dentro il viaggio in questo Paese incredibile.

Todos Santos. Credits Fabrizio Lava
Todos Santos. Credits Fabrizio Lava

Baja California on the road: da La Paz a Cabo Pulmo

Ci sono posti che diventano un’ossessione: mentre si è lì non si vorrebbe più ripartire e, una volta tornati a casa, si aspetta solo di poterci tornare. La Baja California è uno di questi, siete avvertiti. A noi è bastato arrivare a La Paz: 30 gradi, vento fresco, cielo terso, il rumore del Mar de Cortéz (il Golfo di California), le palme che danzano, chiringuitos che preparano ceviche e margarita, boutique hotel affacciati sul malecón. Andamento lento. Sembra il massimo, ma il meglio deve ancora arrivare perché questo è uno dei pochi posti al mondo dove si può nuotare con gli squali balena. Oppure, con un paio d’ore di barca si può raggiungere Espíritu Santo, un’isola piena di tesori. Come le sue spiagge, ad esempio, baie isolate e spesso poco affollate (siamo in un parco nazionale patrimonio Unesco), dove fare snorkelling in compagnia dei leoni marini.

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Cabo Pulmo. Credits Fabrizio Lava
Cabo Pulmo. Credits Fabrizio Lava

Questa penisola lunga 1.250 km è il luogo perfetto per i viaggi on the road. Il coast to coast da La Paz a Todos Santos dura un’ora di macchina. Per pranzo siamo al ristorante El Faro, ci siamo solo noi, l’oceano Pacifico e chilometri di spiaggia deserta. Per il tramonto, una barca ci porta a El Arco di Cabo San Lucas, il punto dove tutto finisce o dove tutto ha inizio, dipende da voi. E infatti ammiriamo il tramonto a bordo di un catamarano, spostandoci tra Playa del Amor e Playa del Divorcio, senza saper scegliere dove ci sentiamo meglio.

Cabo San Lucas. Credits Angelo Pittro
Cabo San Lucas. Credits Angelo Pittro
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Abbiamo ancora ventiquattro ore a disposizione. Raggiungiamo l’area protetta di Cabo Pulmo, che conserva una delle barriere coralline più settentrionali del mondo. La strada sterrata a ogni curva ci svela un segreto. Ora è una baia nascosta, poi una villa celata tra cactus e dune di sabbia, più in là un capanno di legno. Una salita e siamo su uno sperone di roccia a picco sul mare, intorno a noi il nulla che è un invito a rallentare, a fermarsi nel luogo che Jacques Cousteau definì “l’acquario del mondo”. A sera siamo a San José del Cabo per una “cena stellata” al ristorante Sage. È tempo di partire, l’ossessione si manifesta in forma di decisione: sarà qui che verrò a trascorrere il resto dei miei giorni.

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