Catalogna: viaggio in una regione dal fascino inebriante
La bellezza poliedrica della Catalogna ha un potere inebriante, come quando ti accorgi di aver bevuto l’ennesima clara al limon, la leggerissima birra e limonata che a Barcellona va via come il pane. Questa particolare ebbrezza non dipende soltanto dal fiume di turisti, studenti e cittadini che scorre nelle Ramblas o nelle vie più strette, e nemmeno dalla vertigine delle architetture moderniste catalane, uniche nel contesto storico in cui sono state pensate, eccentriche rispetto al resto delle correnti europee e in grado di esprimere uno stile nuovo e spiazzante. La sensazione che ho provato, e che ora vi descriverò, è dovuta soprattutto al caleidoscopico gioco di sensazioni e rimandi che la Catalogna produce quando si scende in profondità nello spirito del suo territorio.

È davvero uno shock la prima volta che si ammirano le guglie apparentemente prive di senso, impossibili da addomesticare in un piano cartesiano, della Sagrada Familia, la celeberrima opera di Gaudí (e altri). Ma lo è ancora di più Casa Vicens, la prima realizzazione dell’architetto, perché non te l’aspetti. Lascia intontiti, spaesati, come se si fosse al contempo entrati in un libro illustrato dei primi del Novecento e ci si fosse persi fra le fronde degli alberi di una foresta incantata, ma anche in un videogioco degli anni Ottanta dalle forme squadrate, gli angoli vivi e gli sfondi pixelati.
Mi rendo conto però, che questa ubriacatura - per restare alla metafora alcolica - è come quella che sopraggiunge dopo all’ultimo bicchiere. Perché quando butto giù la dose di colore, luce e carattere dell’Hospital de la Santa Creu i Sant Pau, il grande ospedale, oggi parco architettonico, creato da Luis Domènech i Montaner, altro mostro sacro meno noto del modernismo catalano, sono al termine del mio giro in Catalogna, sono al bicchiere della staffa.

L’Hospital è di certo un cocktail colorato e complesso, di quelli che ci vuole palato per apprezzare bene, ma che al contempo nascondono note che possono incontrare il gusto di tutti. Si tratta di un villaggio intero (48 padiglioni tutti diversi) che assolveva fino al 2009 la funzione di ospedale della città e che rimane senza ombra di dubbio il più stupefacente ospedale che abbia mai visto. Così come stupefacente è il Palau de la Música Catalana, un tempio non solo musicale ma anche architettonico. Nei mosaici che ricoprono le colonne della balconata sulla strada, ritrovo il senso dei miei ultimi giorni di viaggio in Catalogna: un insieme di tessere anche molto diverse che affiancate restituiscono un disegno sorprendente, che cambia come viene colpito dalla luce, muta in base all’inclinazione o all’ora del giorno, all’umore dei catalani, al mezzo che si usa per osservarlo. Un mosaico dentro un caleidoscopio, ecco che cosa ho incontrato.

Girando il tubo del caleidoscopio la prima immagine che è apparsa è quella di un castello a picco sul vasto mare. A uno sguardo più attento si è rivelato un monastero, il Monastero di Sant Pere de Rodes, ma poteva anche essere scambiato per un faro, una base, un intero villaggio. Aggrappato alle rocce del Promontorio di Cap de Creus, la cui propaggine estrema è il punto più orientale della Penisola iberica, il monastero appare in fiero isolamento: e ne ha, dopo secoli, ben donde. Era infatti nel Medioevo la destinazione di un importante pellegrinaggio verso quella che si riteneva una reliquia mica da poco: il cranio di San Pietro.
Da questo primo contatto con la Catalogna, tutto il resto è un vortice di esperienze. Un catamarano mi svela una costa nervosa e frastagliata, capace al contempo di restituire scenari quieti e idilliaci. Il promontorio spazzato dal maestrale conserva decine e decine di dolmen neolitici. Poco all’interno, Pals inaugura il campionario di intatti paesi medievali che scorrerò nel corso del viaggio. Come Siurana, arroccata sul cocuzzolo di una montagna a dir poco scenografica, un panettone di roccia liscia le cui pareti assolate sono meta prediletta di rocciatori dai muscoli guizzanti - una rupe che fra chiese affrescate e castelli arabi imprigiona il soffio del vento facendolo gemere fra i suoi vicoli prima di liberarlo sulla valle sconfinata. O Porrera, ‘capitale vinicola’ del Priorat, una regione rocciosa che dona alla Spagna una delle sue due DOC.

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Capitale storica del Priorat, invece, è un altro luogo dal fascino suggestivo: la Cartoixa (certosa) di Escaladei. Si tratta di quella che un tempo era la sede del priore, che controllava il territorio del Priorat, ed è attestata nei documenti fin dal Duecento. La maggior parte degli edifici rimasti risale al Seicento e negli ultimi cento anni, prima del recupero, il luogo è rimasto abbandonato, accrescendone il fascino. Pare infatti di aggirarsi in una sorta di parco di rovine, la cui bellezza non può prescindere dal rapporto magnifico con i monumentali rilievi dei dintorni, geologicamente unici come scaloni verso il regno celeste, come una ‘escala Dei’, appunto.
Se si tratta di guardare in alto, di proiettarsi verso il cielo, però, niente in questo viaggio batte il campanile della Seu Vella, la cattedrale di Lleida. Insidiata dalla concorrenza di Barcellona, Tarragona e Girona, Lleida (Lerida in castigliano) viene spesso snobbata, ma ci sono almeno due ragioni per visitarla. Una l’abbiamo detta: uno dei migliori esempi di gotico internazionale in Spagna è la Seu Vella che, oltre al campanile che domina tutta la città, a una cattedrale coperta di sculture dai temi sacri, bucolici e fantastici, conserva un incredibile chiostro quattrocentesco con enormi aperture verso l’interno, ma anche un lato rivolto allo sterminato panorama catalano. La seconda ragione è la gastronomia. Se quella catalana ha caratteristiche proprie, quella di Lleida ne ha di ancor più specifiche, basti citare i piatti tipici della città: le lumache e il baccalà.
Non so se nella luce riflessa di una tessera di mosaico o nella trasparenza di un calice di vino ho rivisto tutto questo a Barcellona, mentre appunto la città dava l’ultimo colpo alla mia ubriacatura catalana. So di certo che anche io, fino a questo momento, mi ero accontentato di considerare la Catalogna il contorno della sua capitale. E invece questa regione è parte di una degustazione verticale che parte o arriva a Barcellona. Per immergersi in questo caleidoscopio e apprezzarne le sfaccettature bisogna quindi aprire una cartina e andare in profondità. E di certo lo farò ancora, altre volte, con la sete per provare tutto e ancora di più.