Il vero Iran (dietro la maschera)

Redazione Lonely Planet
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C'è un volto dell'Iran che gli integralisti e tutti coloro che sparano a zero sulle voci di dissenso non vogliono vedere. Quello che esprime l'accoglienza, la cultura e la storia millenaria del paese. In questi giorni difficili, mentre i media diffondono immagini di violenza, vogliamo dichiarare la nostra solidarietà per l'anima dolente di questa nazione, augurandoci che le strade di Teheran, Isfahan e Shiraz tornino presto a essere un luogo di pace. Per questo proponiamo alcuni passi delle pagine scritte da Tony Wheeler, co-fondatore di Lonely Planet, non molti mesi fa, al tempo della ricognizione in Iran in vista del libro dedicato alle Bad Lands. Lo sguardo di Tony è attento alla vita e alle convinzioni delle persone comuni, degli uomini e delle donne che con la loro accoglienza rendono il viaggio nel paese un'esperienza indimenticabile. È a queste persone che dedichiamo il nostro piccolo contributo.

Una donna indossa la tradizionale maschera dorata - fotografia di Vittorio Fraleoni
Una donna indossa la tradizionale maschera dorata - fotografia di Vittorio Fraleoni
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Il vero Iran (dietro la maschera)

Rapito da una calorosa accoglienza
La Paykan sterzò bruscamente, inchiodando al lato della strada, e un tizio corpulento si alzò a fatica dal volante e avanzò sbuffando verso di me.
Ero in Iran e stavo per essere rapito.
«Sono una guida. Parlo inglese», annunciò con fierezza Ahmad Pourseydi afferrandomi per un braccio. «Venga con me, le mostrerò il Giardino di Fin».
Non c'era da discutere. Riuscii soltanto a rimandare l'inevitabile per altre 12 ore per il solo fatto che ero arrivato a Kashan da appena mezz'ora e stavo cercando un posto dove cenare.
Il mattino dopo, però, appartenevo ad Ahmad, anzi, ero divenuto parte integrante della sua famiglia. In ognuna delle case tradizionali che avrei poi visitato, e che un giorno renderanno Kashan giustamente famosa, la persona alla cassa si sarebbe sentita in dovere di offrirmi lo sconto per famiglie. Quello era stato un tipico incontro iraniano. Non ricordo un altro paese in cui la gente dimostri un bisogno tanto impellente di farti sentire il benvenuto, di srotolare il tappeto buono e farti partecipare a pieno titolo alle riunioni di famiglia.

Sulla carta, non sembrava una faccenda complicata
A parte l'Albania, tutte le Bad Lands che ho visitato vi fanno passare qualche momento difficile prima di aprirvi la porta. Perfino Cuba esige che presentiate la 'tourist card'. Non capisco come mai posso entrare senza problemi in paesi che metà del mondo sarebbe felice di considerare come la propria patria - Stati Uniti, Giappone, Francia, Italia - mentre altri paesi, da cui metà della popolazione vorrebbe fuggire e nei quali nessuno fa la coda per introdursi, fanno di tutto per complicare la vita a chi invece vorrebbe entrare! Sulla carta, o sullo schermo del mio computer, l'Iran non sembrava una faccenda complicata.

Sulle tracce di Dario il Grande
Qui a Shiraz mi trovo davanti a una bellezza a dir poco impressionante: l'Hammam-e Vaikal, un vecchio bagno turco, un hammam, appunto, interamente restaurato e trasformato in una casa da tè con ristorante adiacente. Al centro della magnifica sala ottagonale c'è una piscina piena di acqua gorgogliante, si sente la musica di un trio composto da violino, percussioni simili a tabla e uno strano strumento a corda. Il cibo è semplicemente divino, l'ambiente incantevole. [...] Shiraz è senza dubbio interessante ma la vera attrazione dista 50 chilometri dalla città, dove le antiche rovine di Persepoli sembrano abbarbicate su un altipiano dominato dalle rocce a picco del monte Rahmat. L'imperatore Dario il Grande aveva iniziato la costruzione di questo capolavoro architettonico nel 518 a.C., poi nel 330 a.C. Alessandro il Grande aveva invaso la Persia mettendo a ferro e fuoco le città dopo averla saccheggiata.

Le donne iraniane
Le donne iraniane, nonostante l'abbigliamento che dovrebbe nasconderle agli occhi altrui (o forse proprio a causa di tale abbigliamento), non perdono occasione di puntarvi addosso i loro sguardi, mescolando un sorriso pudico a un'occhiata furtiva e seducente insieme. Quella sera, mentre stavo fotografando i passanti di fronte a una moschea, una ragazza, seduta dietro al suo boyfriend in motocicletta, mi ha fatto l'occhiolino salutandomi con la mano; più tardi, quella stessa sera, ci sono poi state quelle tre vecchiette che mi hanno salutato in coro mentre banchettavano ad anguria in una delle stradine della città vecchia.

Mi portano del tè e dei dolci, ma di piatti veri e propri non se ne vedono fin dopo le nove. Non immaginate neanche quante persone mi sorridono, si fermano per scambiare due parole, chiedono le mie impressioni sull'Iran e mi salutano con un cordiale 'Welcome!'. Questa è gente che sprizza energia e cordialità, parecchio diversa da quello che i mezzi di informazione vorrebbero farci credere degli iraniani.

Isfahan, saluti dal 1972
Isfahan potrebbe da sola giustificare un viaggio in Iran, ed è persino difficile stabilire se la sua prima attrazione turistica sia la maestosa piazza Meydan-e Imam, con il suo porticato perimetrale che un tempo ospitava botteghe e negozi, o l'incantevole ansa del fiume Zayandeh, con i suoi ponti a più arcate e le zone verdi adiacenti. Cinque degli undici ponti che attraversano il fiume risalgono addirittura all'epoca safavide. Una delle fotografie che amo di più tra quelle scattate con Maureen durante il nostro viaggio in Asia nel 1972 la ritrae seduta sul bordo del fiume con alle spalle il bellissimo ponte Khaju, con i suoi due livelli di terrazze porticate. Il vestito indossato da Maureen in quella foto, benché assolutamente decoroso, l'avrebbe fatta immediatamente arrestare dai Miliziani della Moralità dell'Iran del XXI secolo.

Passeggio lungo una sponda del fiume e faccio una piacevole sosta nella bellissima sala da tè ricavata all'interno del ponte Chubi, dedicandomi a una delle attività preferite dagli abitanti di Isfahan: bere tè e fumare il narghilè. La sala da tè nel ponte Chubi è decorata da tappeti, dipinti e da una collezione alquanto eclettica di lampade appese alla volta a botte, e non mi è difficile capire perché sia considerata una delle migliori della città. Mi accomodo in un'accogliente alcova accanto a una finestra e dopo qualche secondo arriva il cameriere con il vassoio del tè e il consueto botta e risposta.
«Da dove viene?».
«Australia».
«Come si chiama?».
«Tony».
«Io mi chiamo Mohammed. Le piace l'Iran?».
«L'Iran è stupendo, soprattutto la città di Isfahan».
«Le auguro un buon soggiorno».

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