Diario di viaggio di un viaggiatore irresponsabile

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Da quando l’epidemia è iniziata mi è stato affidato da Treccani l’ingrato compito di disegnare una mappa che tenga traccia, ogni giorno, dell’entità del fenomeno e dei paesi coinvolti. Insomma, seguo lo spostamento del mostro e produco un bollettino quotidiano. Non sono un medico, ma un cartografo: traccio rotte, trasformo dati in elementi grafici e intanto spero di cavarci qualche informazione, distratto come sempre dai confini del mondo. Ogni singolo giorno, in fondo, è come se viaggiassi assieme al virus. Lo sto tenendo d’occhio guardando il pianeta dall’alto e non da altezza d’uomo, in quella prospettiva protetta dai rischi che è la rappresentazione geografica e che mi ha fatto sentire disumano, un grigio contabile deputato a confrontare numeri e ingrandire cerchi. Anche viaggiare, come autore Lonely Planet, è il mio lavoro, e ho dovuto seguire l’epidemia diffondersi sul mio campo di gioco preferito, quello da cui, io come tutti, sono stato costretto a ritirarmi: i cinque continenti. E così ogni giorno tengo il diario di bordo di un viaggio che osservo da remoto. A furia di stargli dietro è come se il virus si fosse fatto materia, persona fisica: un viaggiatore solitario che si muove per il pianeta. Gli voglio dare un nome, perché la personificazione mi aiuta a aggiungere un po’ della leggerezza di cui sento il bisogno. Lo chiamerò Diciannove.

Treno transmongolico nella steppa
Gli spostamenti di Diciannove sono aumentati esponenzialmente di settimana in settimana © Luigi Farrauto/Lonely Planet Italia
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Gli spostamenti di Diciannove sono aumentati esponenzialmente di settimana in settimana e io non ho potuto fare altro che osservarli, sforzandomi di renderli più chiari possibile. Così, mentre marco stretto il più odiato viaggiatore dei nostri tempi, provo a raccontare quello che vedo con lo strumento che meglio conosco: la cartografia. Dunque mi si consenta uno sguardo geografico anziché scientifico. Diciannove sta facendo ciò che noi più amiamo fare: si sposta. Viaggia. Ed è quel tipo di viaggiatore che non piace, che distrugge i posti che visita. Anziché elevarli al cielo li abbandona nell’oblio.

Ha fatto la sua comparsa in un mercato cinese, perché diciamocelo, chi è che non ama i mercati. Sono la prima cosa che io stesso cerco quando sbarco in una città. Era già pronto a buttarsi nella mischia del Capodanno Cinese per perdersi nella gioia dell’incontro umano, ipnotizzato dall’armonia delle folle. Si è mosso a suo agio nel paese più popolato del mondo, così assetato di umanità e corpi e vicinanza. E poi, mentre il mondo cominciava a notarne la presenza, è salito su un aereo per investire l’occidente con uno sciame virale, come lo definiscono gli immunologi. I cerchi, che sulle mie mappe crescono proporzionalmente al numero dei contagi, li ho visti lentamente sgonfiarsi nelle province della Cina, e ho goduto di quella dissoluzione come di una vittoria personale. Ma intanto lui ha trovato ospiti inconsapevoli proprio nei luoghi che chiamo casa quando non sono in viaggio. Qui. La mia regione. E così anche io ho dovuto lasciargli il passo, ritirarmi per cedergli la strada, ma senza staccargli gli occhi di dosso. E intanto lui ha deviato in Medioriente e negli Stati Uniti, è scivolato verso Africa, Australia e Sudamerica.

strada deserta in Pamir
Diciannove non se l’è sentita di avventurarsi nel Pamir © Luigi Farrauto/Lonely Planet Italia

Da viaggiatore compulsivo interessato ai timbri sul passaporto, Diciannove ha preferito i luoghi più ospitali, contagiando in massa iraniani, spagnoli, coreani, ecuadoregni, forse anche lui attratto da quell’indole calda e accogliente che tanto ci emoziona quando li visitiamo. Come noi Diciannove ama la vita e la vitalità, è attirato dalle feste, dai concerti, da tutto ciò che ci unisce. Stravede per le metropoli, meno per le campagne. Diventa inerte di fronte ai panorami sconfinati e gli ambienti solitari; ha dimostrato pigrizia e scarso interesse verso i tetti del mondo; ha ignorato Antartide, Nepal, Mongolia, Tajikistan: non se l’è sentita di avventurarsi nel Pamir. Il Tibet l'ha sfiorato appena, un contagio e se n'è andato. Diciannove ama climi miti e atmosfere rilassate. I Caraibi li ha passati al setaccio: da Santo Domingo alle Barbados, passando per Jamaica e Martinica. E ha perso la testa per le isole dell’Oceano Indiano e del cuore del Pacifico. Ha approfittato dell’iperconnessione che abbiamo conquistato, ha sfruttato le nostre strade di terra, cielo e acqua.

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Diciannove ama climi miti e atmosfere rilassate ©ferrantraite/Getty Images
Diciannove ama climi miti e atmosfere rilassate ©ferrantraite/Getty Images

Pensarci oggi come le povere vittime di un evento eccezionale, però, significa non conoscere la storia. Per millenni viaggiatori del calibro di Diciannove hanno percorso le strade che l’uomo ha costruito, nascosti nelle stive delle navi cariche di balsami profumati che dalla Siria approdavano nei porti di Roma, tra le cosce delle prostitute nei lupanari della Suburra, tra i castra dei soldati che presidiavano i confini dell’impero, nelle pieghe dei mantelli dei mercanti sulla Via della Seta. All’epoca i caduti si contavano a milioni e i medici non conoscevano il concetto di microrganismo, un essere invisibile agli occhi. Responsabile di tutta quella morte era l’ira di Apollo, che doveva essere placata con sacrifici su altari avvolti da spirali di incenso. Loro la chiamavano ‘peste’, noi gli abbiamo dato un nome che evoca troni scintillanti. Io insisto con Diciannove.

C'è stato un solo caso in Tibet, ed è guarito subito © Luigi Farrauto/Lonely Planet Italia
C'è stato un solo caso in Tibet, ed è guarito subito © Luigi Farrauto/Lonely Planet Italia
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Diciannove, un viaggiatore in cerca di compagnia; il peggior nemico di escursionisti, esploratori, spiriti randagi, nomadi, cosmopoliti. Si fa vanto di averci chiusi in casa mentre prova a sfilarci il mondo da sotto i piedi, attore protagonista dei sogni di ogni regime e di ogni terrorista. Quello che stiamo cercando di dargli è un mondo vuoto, benché tutto per lui. E intanto noi, vagabondi, stiamo già pianificando il nostro prossimo viaggio. Torneremo a guardare la mappa come ai vecchi tempi, non per tracciare il contagio, ma per domandarci dove andremo, chi incontreremo. Torneremo a scrivere guide e a raccontare il mondo. Riempiremo le strade dell’Italia, e poi in Cina, in Corea, in Iran e di nuovo nel resto del mondo.

Torneremo a scrivere guide e a raccontare il mondo, che laggiù ci aspetta © Luigi Farrauto/Lonely Planet Italia
Torneremo a scrivere guide e a raccontare il mondo, che laggiù ci aspetta © Luigi Farrauto/Lonely Planet Italia

Ora rimaniamo a casa, ci scopriamo uniti e proteggiamo i più deboli, perché è dalla cura dei deboli che si giudica il valore di una comunità. E intanto rafforziamo la nostra rete, perché il contagio esiste in natura, ma la rete è stata l’umanità a crearla. E chi fa rete in genere vince.

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