Com’è davvero la Corea del Nord, vista dall’interno
La Corea del Nord è uno degli Stati più chiusi e autoritari al mondo. Quello che accade dentro i suoi confini torna ciclicamente all’ordine del giorno: lanci di missili, parate militari alla presenza del leader Kim Jong Un, minacce nucleari. La popolazione, si dice, vive in povertà, non ha internet, è rigidamente controllata dal regime. Ma com’è davvero la Corea del Nord, vista e vissuta dall’interno? A raccontarlo è la molisana Carla Vitantonio, cooperante, attivista per i diritti umani, attrice e scrittrice che ha vissuto nel Paese dal 2012 al 2016 lavorando prima come insegnante di italiano alla Pyongyang University of Foreign Study e poi in una ONG internazionale che si occupa di disabilità.

L’arrivo a Pyongyang e il “coreano personale”
“Nel 2012 della Corea del Nord sapevamo molto meno di quello che sappiamo adesso: era appena morto Kim Jong Il, avevamo visto nei telegiornali le immagini delle persone sotto la neve che si disperavano... Non avevamo molte informazioni”, spiega Vitantonio, che ha raccontato la sua esperienza nel libro Pyongyang Blues (add editore) e nel podcast omonimo. “Le mie aspettative oscillavano tra il sentito dire e le poche informazioni puntuali fornite dall’ambasciata italiana in Corea del Sud, che è responsabile per entrambe le Coree”.
Carla sapeva già, tra le altre cose, che avrebbe goduto di un limitato grado di libertà e che avrebbe avuto un “coreano personale”. “Ogni espatriato residente in Corea ne ha uno. È una persona nominata dal ministero degli Esteri, che ha il compito di controllare che l’espatriato affidatogli non rompa le regole. Una specie di migliore amico, un supervisore, un angelo custode, un novello Virgilio, una guida nel Paese dei balocchi, insomma, una spia”, scrive Vitantonio nel suo libro. Come altri colleghi espatriati, al suo arrivo a Pyongyang Carla si sistema nel villaggio diplomatico: un complesso di palazzi, circondato da un muro e controllato da sentinelle, che accoglie solo cooperanti e delegazioni estere. La distanza dalla popolazione locale viene mantenuta il più possibile, non solo nelle abitazioni: soltanto alcuni mercati, negozi e locali della capitale, ad esempio, sono aperti anche agli stranieri.
Elettricità, acqua calda, ascensori, generi alimentari: niente è scontato
L’elemento che più sembra caratterizzare la vita quotidiana a Pyongyang però è l’incertezza. Per motivi insondabili, i negozi di generi alimentari non sono sempre aperti e non sono sempre riforniti. Nell’appartamento non c’è sempre l’acqua corrente e, quando c’è, non è detto che sia calda. Non sempre c’è l’elettricità. Non sempre è possibile connettersi alla rete. Gli stranieri possono infatti collegarsi alla rete internet satellitare (instradata dalla Cina), i nordcoreani no. Ma, almeno nei contesti urbani, certamente diversi da quelli più rurali, hanno un’alternativa. “Il regime ha sentito la necessità di istituire una potentissima intranet, che esiste tutt’oggi. È il loro ’internet interno’: hanno applicazioni, chat... È un segnale del fatto che il Governo riesce con successo a tenere il suo popolo dentro una bolla, ma al tempo stesso si rende conto che c’è qualche ‘leak’. Altrimenti non avrebbe creato questa intranet per confermare al suo popolo che non ha bisogno di ciò che c’è al di fuori della Corea del Nord”.
Come in molti dei paesi che hanno avuto problemi dopo la caduta del blocco sovietico, “si vede che la Corea del Nord un tempo aveva un’infrastruttura che adesso non c’è più”, prosegue Vitantonio. “Le campagne nordcoreane erano raggiunte dalle infrastrutture stradali, ma da vent’anni non si fa più manutenzione dell’asfalto. Oppure, nel centro di Pyongyang ci sono grattacieli nei quali negli anni Novanta era evidentemente un privilegio abitare: oggi, non essendoci sempre sufficiente elettricità per far funzionare gli ascensori, chi abita qui deve salire magari trenta piani a piedi”.

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Spie e controllori
L’aspetto della quotidianità a cui è stato più difficile abituarsi, per Carla, è stata però la necessità di mascherarsi. Di proteggersi, in qualche modo. “Da giovane attivista e persona queer, ero abituata a stare con persone che condividevano le mie idee, e mi sentivo legittimata a seguire apertamente i miei desideri. Fino a quando non sono andata in Corea del Nord non avevo mai considerato la possibilità di non dire quello che pensavo. Ho dovuto imparare a farlo non solo con i nordcoreani, ma anche con altri stranieri. L’espressione della sessualità è diventata più complessa: in Corea del Nord dicono con fierezza che da loro non esiste l’omosessualità, ad esempio, considerata una malattia che arriva dagli Stati Uniti d’America. Ma al di là di questo aspetto, dopo questa esperienza non ho più recuperato una serie di modi di pensare e di pormi nel mondo che avevo prima”.
Paradossalmente più facile, ma anche subdolo, è stato abituarsi all’idea di essere controllati e seguiti: a volte in modo palese, altre meno. “Hai presente la teoria della rana bollita di Noam Chomsky? Se la metti di colpo nell’acqua bollente, la rana schizza via. Ma se la metti nell’acqua fredda e ogni quarto d’ora alzi la temperatura di dieci gradi, la rana non si rende conto che la stai per bollire”, spiega Carla. “In Corea del Nord ero abituata all’idea che mi seguissero e mi controllassero. Quando mi rilassavo un po’, succedeva qualcosa che me lo ricordava. Non mi sono accorta di quanto ho alzato la guardia in quegli anni, di quanto sono diventata paranoica. Ogni tanto ancora oggi, se incontro due volte la stessa persona nel mio quartiere in Italia, per un istante mi scatta un allarme e mi chiedo se mi sta seguendo”.
Come vive la popolazione locale in Corea del Nord
La vita dei cooperanti e degli espatriati è diversa da quella della popolazione locale. Per quello che Carla ha potuto osservare, i nordcoreani sono costantemente impegnati nelle molteplici attività definite dalle Unità a cui appartengono: la famiglia, il condominio, il lavoro, il partito... “Si svegliano prestissimo. Prima di andare al lavoro hanno dei turni di lavori pubblici: pulire le scale del palazzo, tagliare l’erba con le forbici, rompere la neve... Poi si occupano delle loro mansioni lavorative. Tutti i nordcoreani hanno un lavoro. Dopodiché hanno un altro turno di lavori pubblici. Anche le attività ludiche sono centralizzate: ci sono giorni in cui si fa il picnic o si va a ballare, a volte eventi collettivi... In certi momenti dell’anno alcune Unità di lavoro vengono richieste per particolari esigenze: la mia fisioterapista una volta è andata per un mese ad aiutare a raccogliere il riso perché serviva manodopera. Un certo margine di tempo libero probabilmente c’è, comunque, soprattutto fino all’università”.

Nella popolazione, più o meno velatamente, c’è del malcontento? L’idea di Carla è che “la maggior parte dei coreani sia d’accordo con il regime, lo sostenga e abbia un amore incondizionato per il Leader e per il Paese. Alcuni coreani viaggiano per lavoro, seppur controllatissimi e sempre in coppia, quindi forse si fanno delle domande”. I defectors, i nordcoreani che scappano all’estero, spesso vivono nelle zone al confine con la Cina e forse anche per questo sono più esposti a stimoli esterni. Ci sono anche casi illustri, però, come il diplomatico Jo Song-gil, scomparso insieme a sua moglie da Roma nel 2018 e in precedenza uno dei “coreani personali” di Carla Vitantonio. “Tra noi c’era un rapporto di grandissima amicizia e con il senno di poi mi sono domandata se già all’epoca stesse pensando di scappare. Non avrei mai pensato che se ne sarebbe andato”.
Si può viaggiare in Corea del Nord?
La Corea del Nord è aperta anche al turismo: dall’Italia sono necessari il visto e un’autorizzazione speciale del consolato nordcoreano a Roma. “Alcuni turisti, soprattutto giovani americani, visitano la Corea del Nord con un senso di sfida e per questo a volte si mettono nei guai”, commenta Carla. “C’è anche molto finto turismo: quello religioso, specialmente sudcoreani con doppio passaporto, che cercano illegalmente di convertire i coreani del nord. I turisti cinesi sono interessanti: dicono di voler vedere com’era la Cina di trenta o quarant’anni fa. E poi ci sono i turisti che visitano il Paese per sentire l’impossibilità, il controllo... e i nordcoreani glielo fanno sentire benissimo, anche più del necessario. È incluso nel pacchetto”.

I “viaggi di piacere”, infatti, sono gestiti dall’organizzazione del turismo della Corea del Nord e organizzati solo da due agenzie con sede a Pechino. Rispetto ai residenti stranieri, i turisti godono di meno libertà: sono sempre accompagnati da una o due guide (che di solito parlano la lingua madre dei visitatori) e non possono decidere né modificare l’itinerario, i posti dove mangiare e dormire, i negozi in cui entrare o i mezzi da usare. Gli alloggi turistici in genere sono dotati di generatori, quindi non ci sono problemi di forniture. Non è possibile scattare foto a piacimento.