L'Islanda, quell'isola adolescente in cui nascono i vulcani

C’è un fenomeno che ha la sfrontatezza di avvenire solo quando ha voglia di farlo, con tanto di annesso chiasso infernale - è un’eruzione vulcanica. Un po’ come quei quadri che da soli, senza chiedere nulla a nessuno, decidono di ruzzolare giù, per di più con un gran baccano. C’é una sola piccola differenza, cenere a parte: i vulcani hanno l’imperdonabile demerito di rovinare sempre la sorpresa a tutti, con piccoli e sibillini segnali guastafeste. Certo, a loro difesa si può dire che, al confronto con quella roba dei quadri, nel caso dei vulcani, il fattaccio sia molto più spettacolare, specialmente quando avviene in Islanda.

Fagradalsfjall © Alberto Montemurro
Fagradalsfjall © Alberto Montemurro
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Erano quattro mesi che la penisola di Reykjanes borbottava, quattro mesi di piccole scosse, lette dai geologi di tutta Europa come educate richieste di attenzione da parte della penisola islandese, ormai incinta di un vulcano al settantaduemillesimo mese.

L’eruzione a Reykjanes © Alberto Montemurro
L’eruzione a Reykjanes © Alberto Montemurro

19 Marzo 2021, Islanda, ora locale 20 e 45. Boom.

Il quadro che cade è un vulcano che scoppia, erutta, cola, scorre, e cambia tutto di nuovo. 

Di nuovo, perché solo undici anni fa tutto il sud dell’isola era stato sconvolto dall’eruzione di un altro vulcano, lEyjafjallajökull (per i pigri: leggete ejafjatlajokutl), proprio quello che con la sua nube di ceneri aveva bloccato i voli di mezza Europa, catalizzando sull’Islanda un’attenzione che il governo locale ha prontamente trasformato in un formidabile volano per il turismo, stravolgendo ancora la vita dell’isola, e il suo aspetto. In un lampo, gli islandesi si sono trasformati da pescatori a guide, in un solo decennio i visitatori sono quintuplicati, e poi, quando la bolla aveva appena iniziato a sgonfiarsi, è arrivato il Covid, di cui forse avrete sentito parlare da qualche parte. E cambiava tutto di nuovo, per l’Islanda e non solo. 

Per fortuna alla comparsa del virus gli islandesi avevano già ottimi anticorpi per i cambiamenti: non passa lustro senza che uno dei loro 130 vulcani decida che è ora di cambiare i connotati al paesaggio, il che avrà senz’altro contribuito alla forte verve creativa dei suoi abitanti - i Sigur Rós hanno deciso che bastava una sola parola per “saltare nelle pozzanghere”, hoppipolla: di che parliamo?

Ma del resto l’Islanda è questo: volubile, capricciosa, un’isola adolescente ancora indecisa che non sa se vuole stare sulla placca Nordamericana o su quella Eurasiatica, col risultato che si sta letteralmente spaccando a metà. 

Proprio nello spazio creato da questa separazione tettonica ribolliva il magma che ha poi formato il neonato vulcano, battezzato Fagradalsfjall per l’adiacente cima “Montagna della Bella Valle” (da fagur, “bella”, dalur, “valle”, e fjall, “montagna”), nella piana dal più infelice nome “Valle dei Castrati”, Geldingadalir, ci piace pensare in esclusivo riferimento ai celebri cavalli islandesi. 

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La cascata di Skogafoss © Alberto Montemurro
La cascata di Skogafoss © Alberto Montemurro

In Islanda è impossibile inventare un’abitudine, nulla resta uguale e tutto si trasforma, d’altronde πάντα ῥεῖ. Così quell’immatura cosa fa? Talmente smargiassa, mitomane e lunatica che si iberna, si fonde, s’addensa, poi getta la lava con gran voluttà. Fiocco rosso nella penisola di Reykjanes, è nato Fagradalsfjall.

L’eruzione si è subito mostrata unica, per vari motivi: in quanto effusiva e non esplosiva, aveva tutte le carte in regola per diventare uno spettacolo meraviglioso, e allo stesso tempo sicuro. Se nelle eruzioni esplosive il magma più freddo e viscoso impedisce ai gas disciolti di “liberarsi” rapidamente, aumentando la pressione sino ad esplodere piroclasti (frammenti di lava non consolidata), lapilli e altra “roba geologica” pericolosa, nelle effusive i gas disciolti fuoriescono più facilmente, generando colate laviche meno rapide, più controllabili. 

I puffin controllano curiosi i cambiamenti in corso © Alberto Montemurro
I puffin controllano curiosi i cambiamenti in corso © Alberto Montemurro
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In breve tempo, Il Fragadalsfjall è diventato uno spettacolo pubblico, attirando fotografi, geologi, e semplici curiosi che si sono cimentati nelle attività più grottesche, fra chi ha improvvisato grigliate laviche, matrimoni, concerti live (mozzafiato quello dell’islandesissima band Kaleo), e persino partite di pallavolo. Come già sottolineato, la caratteristica peculiare - e più pericolosa - delle eruzioni effusive è il rilascio di gas disciolti, fra cui il biossido di zolfo, che se all’olfatto può apparire non troppo diverso dal tipico odore dei fuochi d’artificio, risulta particolarmente tossico per l’organismo: qualora l’eruzione dovesse espandersi, potrebbe essere una seria minaccia per le tremila anime del vicino paesino di Grindavík. Tuttavia, ben visibile anche dalla capitale Reykjavík, la nube rossa che da mesi domina la penisola di Reykjanes continua ad attirare visitatori, e gli islandesi non sembrano preoccuparsi troppo delle possibili velleità assassine del loro nuovo spettacolo naturale, ritenendo preoccuparsi o non preoccuparsi comportamenti parimenti inutili, con l’innegabile vantaggio che nel secondo caso perlomeno non si é preoccupati. 

In linea con questo tipico spirito islandese, esiste un vecchio modo di dire: Þetta reddast. Intraducibile in italiano, ciò a cui si avvicina di più è “alla fine le cose si aggiusteranno”, o “andrà tutto bene”, ma una sfumatura di malinconia avvolge speranza per il futuro e la rassegnazione consapevole di non avere alcun arbitrio su alcuni fenomeni, quali bufere, tempeste, e appunto, eruzioni. Non è poi passato così tanto tempo da quell’Islanda di pescatori e pastori, e ancora oggi nei mesi invernali ampie porzioni dell’isola restano isolate, a seconda della neve e delle voglie del clima islandese, sempre pronto a nuovi capricci.

In un certo senso, è la terra che ci meritiamo, in questo periodo pieno di sorprese. È facile specchiarsi in un’isola immatura, come noi ancora incerta su cosa fare da grande, che nemmeno da vecchi si sa. D’altronde, se non abbiamo uno straccio di idea su cosa caspita ci capiterà domani, se cadrà un quadro o un governo, se scoppierà la terra o una pandemia, se πάντα ῥεῖ, è anche vero che alcune cose restano sempre uguali a sé stesse, per fortuna. Come alcuni quadri che restano aggrappati a chiodi arrugginiti, o come il vecchio, cocciuto, ottimista spirito islandese: Þetta reddast.

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Islanda
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