A Zanzibar alla scoperta di Jambiani, l'isola delle spugne e della sostenibilità

Jambiani si trova sulla costa sudorientale di Unguja, la più grande e popolata isola dell’arcipelago di Zanzibar, in Tanzania. Si tratta di un villaggio di pescatori, allevatrici di spugne, coltivatrici di alghe, e giovani acrobati. Jambo! Jambo! Non c’è angolo di Jambiani in cui non risuoni questo saluto rivolto a chi qui ci viene per diletto. A Jambiani il turismo rappresenta una delle principali risorse. Si tratta però di un turismo diverso da quello che si può trovare in altre località più mondane dell’isola: chi sceglie questa meta lo fa perché, oltre a una spiaggia di meravigliosa sabbia bianca, Jambiani offre la possibilità di conoscere quello che ci sta dietro. Ritmi lenti, poca movida e una maggiore attenzione all’ecosostenibilità sono gli elementi che caratterizzano i turisti che transitano da queste parti. Trascorrere del tempo a Jambiani significa vivere un’esperienza formativa che non solo arricchisce gli occhi grazie alla bellezza di un mare dalle mille sfumature d’azzurro-verde, ma permette anche di capire quanto è importante togliersi le scarpe quando si visita un luogo che non è casa nostra.

Sponge Farm a Jambiani
Allevatrici di spugne nella Sponge Farm ©Gabriele Orlini
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Allevatrici di spugne, coltivatrici di alghe e pescatori

Quando la marea si abbassa e la spiaggia decide di allungarsi fino a perdersi nell’orizzonte, ci si può imbattere in un gruppo di donne avvolte nei loro kanga colorati che, armate di secchi, boccagli, maschere da snorkeling e reti, si dirigono verso il sorgere del sole. Sono le allevatrici di spugne, le sponge farmers, madri per lo più single che grazie a questo lavoro riescono ad assicurare un reddito alla propria famiglia. Nel 2009 la piccola NGO Marinecultures ha creato qui la prima sponge farm di Zanzibar dove si alleva un determinato tipo di spugne destinate alla vendita. Marinecultures si occupa di formare le farmers in modo che, alla fine di un training lungo un anno, siano in grado di allevare e commercializzare le spugne in autonomia. Ma non solo: oltre a un supporto costante anche dopo la fine del corso, Marinecultures fornisce loro una porzione di vivaio e l’attrezzatura necessaria per svolgere questo lavoro in sicurezza. Da poco l’ONG ha iniziato anche il passaggio di consegne che in tre anni vedrà l’intero progetto, training compreso, essere gestito direttamente dalla comunità locale. Entrare nella Sponge Farm fa capire tutta la bellezza e la durezza di questo lavoro. Immerse con l’acqua fino al petto e sotto il sole cocente già dai primi raggi del mattino, le farmers passano ore a tenere pulite le cime e le boe che delimitano la Farm, oltre a mantenere l’ambiente in cui le spugne crescono in ordine e sicuro per il loro sviluppo. Una spugna ci mette dai 9 ai 12 mesi per svilupparsi e in un periodo così lungo ci sono davvero tante cose che possono andare male.

Jambiani
Jambiani © Gabriele Orlini

Molte di queste donne, prima, erano coltivartici di alghe. Se ne possono vedere ancora camminando sul lungomare di Jambiani dove, durante la bassa marea, affiorano i piccoli appezzamenti delimitati da corde fatte di fibra di cocco e tenute insieme da pezzi di legno recuperati dal mare. Altre le si incontra camminando lungo le strade del villaggio. Stese su un telo di stoffa colorata, a riparo dalla brezza che soffia decisa sul bagnasciuga, le alghe vengono fatte essiccare al sole. Il loro uso è molteplice: sono la materia prima per produrre saponi naturali dalle proprietà emollienti e profumati con spezie locali come, per esempio, i chiodi di garofano, cannella e zenzero – non a caso Unguja è conosciuta come l’isola delle spezie – e altri prodotti di cosmesi. Una volta le alghe venivano anche vendute nei ristoranti ma da qualche tempo questo loro utilizzo è andato progressivamente scomparendo. Questi prodotti, come anche le spugne, sono destinati soprattutto ai turisti e vengono venduti negli shop degli hotel o nei Farmers’ Market locali. I saponi di alghe possono essere acquistati anche all’interno del villaggio: occorre però una certa attenzione nel trovarli perché confezionati in modo meno appariscente rispetto alla vendita negli hotel, con un semplice involucro in fibra di cocco e un’etichetta in cui viene scritta la spezia usata per profumarli.

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Appezzamenti per la coltivazione di alghe © Gabriele Orlini
Appezzamenti per la coltivazione di alghe © Gabriele Orlini

Purtroppo, negli ultimi anni coltivare alghe è diventato sempre meno remunerativo, anche a causa dell’aumento della temperatura dell’oceano Indiano che ha reso la produzione più incerta. Ed è il motivo per cui alcune di queste donne si sono riqualificate in sponge farmers, un’alternativa remunerativa per loro e sostenibile per l’ambiente, perché le spugne contribuiscono naturalmente al funzionamento ecologico degli ecosistemi marini attraverso la filtrazione dell’acqua e come habitat per altri organismi. La raccolta delle alghe rimane però un momento di incontro e condivisione per le donne del villaggio, a cui tante partecipano anche se non direttamente coinvolte.

Anche la pesca risente del peggioramento della situazione ambientale e dell’impoverimento degli stock ittici. Gli uomini continuano a uscire in mare a bordo dei loro dhow – le tipiche imbarcazioni locali con le vele triangolari – ma alcuni di questi le hanno riconvertite in barche per brevi giri turistici nella laguna di Jambiani, altri ancora hanno cambiato zone di pesca.

Acrobazie dei ragazzi del Move Zanzibar © Gabriele Orlini
Acrobazie dei ragazzi del Move Zanzibar © Gabriele Orlini
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Gli acrobati del Move Zanzibar

A pochi passi dalla sede di Marinecultures c’è il Community Center gestito dal Move Zanzibar. Il Move Zanzibar è un movimento di aggregazione giovanile che ha come obiettivo sviluppare nei giovani e nei bambini la consapevolezza dei propri talenti attraverso l’educazione e l’attività fisica. I ragazzi più grandi sono degli acrobati incredibili che si esibiscono nei resort della costa. Si distinguono per leggerezza e determinazione, lasciando gli spettatori con gli occhi incollati sulle loro acrobazie fino alla fine dell’esibizione. Ma sono anche degli ottimi e pazienti maestri per i più piccoli: insegnare questo mestiere e far crescere il talento a ritmo di musica è uno degli obiettivi del Move Zanzibar. Proprio per questo ogni giorno questi acrobati vanno al Community Center dove li aspettano i bambini e le bambine della comunità.

Il Move Zanzibar organizza regolarmente anche dei cleanup delle strade di Jambiani e della spiaggia per ripulirli dalla taka taka, termine swahili per indicare l’immondizia. Il problema della plastica qui è tangibile. Jambiani si trova in una sorta di laguna e quando la marea si ritira la plastica collezionata dal mare si deposita lungo la spiaggia.

La laguna di Jambiani  © Gabriele Orlini
La laguna di Jambiani © Gabriele Orlini

I cleanup per un ambiente più pulito

Ci sono anche altre realtà che si occupano di raccogliere l’immondizia dalla spiaggia e dal villaggio. L’ONG Live Life Always è nata dall’intraprendenza di un sudafricano che si è messo a servizio della comunità locale. Oltre a organizzare regolarmente dei cleanup, Live Life Always realizza diversi prodotti di upcycling utilizzando i materiali recuperati da queste giornate di pulizia. Un esempio sono le borse fatte con i sacchi di cemento trovati sulla spiaggia, assemblati magistralmente con colorate stoffe africane da sarti locali. Anche alcune realtà alberghiere si sono mosse verso questa direzione e hanno deciso di utilizzare risorse locali per gestire i rifiuti che una volta venivano semplicemente gettati nella shamba, cioè nei terreni inutilizzati dell’entroterra. Ma non solo: supportano anche i beach cleaners, un gruppo di ragazzi del luogo che ogni giorno puliscono una parte della spiaggia e del villaggio conferendo poi l’immondizia in quegli alberghi che aderiscono a un programma di riciclo della plastica. A queste attività di cleanup possono partecipare tutti ed è un’esperienza formativa importante.

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Il risultato di una mattina di cleanup © Gabriele Orlini
Il risultato di una mattina di cleanup © Gabriele Orlini

Dopo aver toccato con mano la quantità di rifiuti che siamo in grado di produrre e l’impatto che questi hanno su ambienti così fragili, verrà spontaneo ripensare al nostro stile di vita, non solo per quanto riguarda il corretto conferimento delle immondizie, ma anche per produrne di meno, a cominciare da quando siamo in viaggio. Inoltre, queste sono occasioni uniche per incontrare le persone del luogo, momenti in cui condividere uno sforzo comune e conoscere un po’ meglio chi ci sta a fianco. E non importa se non si parla la stessa lingua: un gesto di gentilezza o un sorriso sono in grado di scardinare ogni barriera.

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