L'anima di Samarcanda
A Samarcanda bazar e moschea sono talmente vicini da rendere quasi impalpabile il confine tra sacro e profano.

L'anima di Samarcanda
La cartina del centro di Samarcanda rivela la doppia anima, quasi schizofrenica, della città. A est il groviglio millenario di vicoli della città vecchia, a ovest i viali tracciati dai russi nel XIX secolo, che si irradiano dal centro amministrativo della città moderna e della provincia.
Mosca è lontana, ma l'influenza della capitale russa è arrivata fino qui. Nel 1924 Samarcanda fu proclamata capitale della nuova Repubblica Socialista Sovietica dell'Uzbekistan.
Per i contadini dell'Uzbekistan l'impatto con il governo sovietico si tradusse nella collettivizzazione delle terre (forzata e spesso violenta) ed ebbe come conseguenza l'imposizione della coltura del cotone. Mosca aveva evidentemente deciso di associare l'Uzbekistan alla produzione di quella materia prima. Bisognerà aspettare quasi settant'anni per avere, nel 1991, le prime elezioni presidenziali nel paese.
Un lungo periodo, nel quale gli abitanti di Samarcanda si mantennero tenacemente legati alle loro tradizioni. I tagiki si considerano il popolo più civile dell'Asia centrale e parte della loro fierezza è dovuta alle antiche memorie storiche della loro terra. Amano ricordare che un tempo di qui passò Alessandro il Grande e che i soldati dell'esercito macedone si sposarono con le donne del posto. La loro lingua, dalle origini quanto mai remote, si parla ancora oggi a Samarcanda, come pure in molte località vicine, come Bukhara e Qarshi.
Il legame con il passato è forte anche nel modo di vestire. Il tipico abito maschile tagiko è ancora oggi composto da una pesante giubba imbottita (chapan), legata con una fascia che fissa anche un pugnale con fodero, e da un cappello ricamato (tupi). Qualcuno dice che le donne tagike si possano riconoscere anche al buio, grazie ai loro lunghi abiti dai colori psichedelici (kurta), abbinati a sciarpe in tinta da avvolgere intorno alla testa (rumol).
Ma l'anima di questa città, come spesso avviene in Oriente, è il suo bazar principale. Bazar e moschea, a Samarcanda, sono talmente vicini da rendere quasi impalpabile il confine tra sacro e profano. Il mercato di Siab (questo è il nome con il quale il bazar è indicato sulle cartine) trabocca di abiti, cappelli e turbanti di ogni nazionalità. Camminandovi si ha l'impressione che la macchina del tempo si sia messa in modo, e che i tempi d'oro della via della seta non siamo mai trascorsi.