L'altro Iraq

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Per la prima volta dal lontano 1989, Lonely Planet manda un suo autore in territorio iracheno. Un emozionante viaggio per le città e le montagne del Kurdistan.

Sulaymaniyah, tra le montagne del Kurdistan iracheno
Sulaymaniyah, tra le montagne del Kurdistan iracheno
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Sulaymaniyah, tra le montagne del Kurdistan iracheno
Sulaymaniyah, tra le montagne del Kurdistan iracheno
Sulaymaniyah, tra le montagne del Kurdistan iracheno
Sulaymaniyah, tra le montagne del Kurdistan iracheno
Sulaymaniyah, tra le montagne del Kurdistan iracheno
Sulaymaniyah, tra le montagne del Kurdistan iracheno
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L'altro Iraq

Ho appena iniziato a marciare sulle colline, diretto al villaggio di Aqrah in compagnia del mio amico Chase, quando un soldato peshmerga armato di AK-47 ci si piazza davanti. Guarda con sospetto le nostre macchine fotografiche e i sacchi a pelo e ci chiede: "Chi siete? Che cosa siete venuti a fare nel mio villaggio?" "Siamo americani, turisti", gli rispondo. Il soldato ci porta dal suo capo, il comandante peshmerga Ayoub, che ritiene di dover dare una spiegazione alla sorpresa che il nostro arrivo ha suscitato. Scopro che siamo i primi turisti che abbiano mai visto. A questo punto, il comandante ci dà il benvenuto allargando le braccia e accompagna il gesto con una risata fragorosa. Poi ci offre una tazza di tè fumante e mette a disposizione due dei suoi soldati, per un giro "turistico" della città.

Benvenuti nel Kurdistan iracheno
Un saccopelista americano in giro per Baghdad avrebbe un'aspettativa di vita di circa 20 minuti. Nel Kurdistan iracheno, invece, sta nascendo una vera e propria industria turistica. E così il 9 aprile 2008, nel quinto anniversario della caduta di Baghdad, ho attraversato il confine tra Turchia e Iraq per studiare la situazione in vista della prossima edizione della guida Lonely Planet Middle East. È la prima volta, dal lontano 1989, che Lonely Planet manda un suo autore in territorio iracheno.

"L'altro Iraq" è il motto della regione, e non potrebbe essere più calzante. Qui non vi troverete nell'Iraq devastato dalla guerra al quale ci hanno abituato i telegiornali. Al contrario, il Kurdistan è generalmente un territorio sicuro, pacifico e ben disposto verso gli occidentali. Negli ultimi 5 anni, solo due significativi attacchi terroristici hanno colpito la regione. Nel 2004, causando 40 morti a Irbil, e nel 2008, quando un kamikaze si è fatto esplodere a bordo di un'auto davanti a un hotel a Sulaymaniyah, uccidendo anche una guardia della sicurezza. Fatti gravi, ma intanto a Londra accadeva di peggio.

On the road
Il mio viaggio mi ha portato dalla polverosa città di confine di Zahko fino alla fortezza montana di Amadiyah, per poi farmi riassaporare atmosfere cosmopolite, quasi europee, a Sulaymaniyah. Nel Kurdistan iracheno non mancano i problemi, ma prevale l'ottimismo. Nuovi musei, centri commerciali, parchi e alberghi a cinque stelle sorgono un po' ovunque. Irbil, la capitale nonché la città più grande della regione, ha in programma la creazione di campi da golf, di un'area dedicata al safari e di un circuito di Formula Uno. Ma la vera attrattiva del territorio è la bellezza della sua natura: montagne maestose, oasi nel deserto e splendidi paesaggi vi lasceranno senza fiato.

Il tratto superiore della Hamilton Road percorre l'altipiano che ospita il Pank Resort, un surreale parco dei divertimenti nel quale una ruota panoramica e un otto volante sembrano sorvegliare dall'alto la cittadina coloniale di Rawanduz, antica memoria dell'Impero Britannico.

Facendo rotta verso nordest, il territorio diventa ancora più aspro: si sale decisamente attraversando le alte montagne che separano Iraq e Iran. La strada tortuosa corre segue il percoso di un torrente e conduce alla città mercantile di Choman. Percorriamo il tratto che ci porta a Haji Umaran, ultimo centro prima del confine con l'Iran, avvolti dal freddo e dalla tempesta. Il mio progetto di sconfinare e di concedermi un lauto pasto in Iran svanisce, quando l'ufficiale di dogana mi spedisce indietro verso Rawanduz e il clima più mite di Irbil.

A Rawanduz siamo trattenuti più a lungo da un ufficiale particolarmente scrupoloso. A quel punto ho preso il cellulare e chiamato il nostro amico a Aqrah. Ricordate? Mi riferisco ad Ayoub, il comandante dei peshmerga. Poche parole, secche e debitamente urlate, sono state sufficienti a ridarci la libertà. Alcuni mesi dopo, a Londra, lessi un'e-mail dello stesso Ayoub: "Spero di rivedervi presto in Kurdistan". "Insha'Allah. Lo sa Iddio", risposi.

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