Etiopia del nord: viaggio verticale nell’Africa antica
Dalla capitale alle magnifiche chiese ipogee di Lalibela fino ai quattromila metri e oltre dei Monti Simien. L’Etiopia è l’Africa più sorprendente e meno celebrata. Dimenticate i big five e partite in direzione nord, cuore del Paese, alla scoperta della sua antica storia.
C’è vita ad Addis Abeba
La corrente è andata via, di nuovo. Capita spesso di restare a lume di candela e anche dell’acqua calda non c’è certezza. Il vantaggio è che al buio le stelle sono più di un miliardo e addormentarsi presto diventa prima un obbligo e poi un privilegio, malgrado la doccia fredda.
Siamo arrivati qualche giorno fa ad Addis Abeba (ma qui si dice Addis e basta), la sera in cui suonava Teddy Afro, il Vasco Rossi nazionale: concerto gratuito, 150.000 spettatori, città paralizzata. Qui la metropolitana non c’è, ovviamente, come tante altre cose. La bellezza, ad esempio. Addis è caotica, priva di grazia, piena di brutti palazzi perennemente in costruzione accanto a baracche e tante auto, troppe. Ma c’è vita qui, nella Capitale come nelle altre grandi città del Paese. Sarà l’entusiasmo che trasmette il giovane primo ministro Abyi Ahmed premio Nobel per la Pace, sarà che metà della popolazione ha meno di trent’anni. Sta di fatto che il cuore di Addis batte forte.
Al Tomoca, ad esempio, una caffetteria italiana che è un pezzo di storia della città oppure, di sera, al Fendika, un (cultural) club buio, caldo e accogliente, dove si suona roba tradizionale. Qui ci sono donne vestite come nelle pubblicità dei settimanali femminili, expat in libera uscita, ferengi (stranieri, in amarico) e tanta buona birra, locale. Già, perché da queste parti, la globalizzazione non ha ancora asfaltato ogni anfratto dell’esistenza e quindi Starbucks e Amazon, Heineken e gli hotel internazionali, non hanno ancora vinto. La musica in questo locale è una festa, sa di Africa: niente amplificazione, solo un percussionista, un musicista che suona uno strumento tradizionale a una corda e la cantante che interagisce col pubblico, canzonandolo. E tutti ballano, anche i tavoli.
Lalibela: la memoria nel sottosuolo.
Per cinquanta euro un aereo a elica ci porta a nord, destinazione Lalibela. Scordatevi di farla in auto, ci dice Lorenzo. Capelli da rasta, accento fiorentino, è la guida che abbiano trovato tramite Evaneos, una piattaforma fatta apposta per chi, come noi, non ha più il tempo (e forse l’età) per viaggiare improvvisando ma non vuole neppure la vacanza precotta, all-inclusive, il gruppo-vacanze. Evaneos ti mette in contatto con le agenzie locali e tu decidi cosa fare da te e cosa chiedere a loro. Un buon albergo, ad esempio e una guida che venga a prenderci in aeroporto e ci conduca tra le meravigliose chiese ipogee scavate nella roccia, ottocento anni fa. Ci sono 27 gradi e la nostra guesthouse ha un comodo letto nuovo di pacca e costa poco, proprio quel che ci serviva. Bravo Lorenzo (e Marco).
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Lalibela è la dimostrazione che l’Africa non è solo natura, animali, grandi panorami. Qui c’è la storia del Paese: questa piccola città è stata capitale del regno di Aksum. E c’è un’architettura sacra sorprendente e unica al mondo. Sono le undici chiese rupestri che risalgono addirittura al 1.200, vero miracolo di ingegneria e arte scavata nella pietra. Siamo sull’altopiano etiope, a 2.600 metri ma, un attimo dopo aver contemplato dall’alto la prima chiesa, preparatevi a scendere sotto terra seguendo gli stretti e tortuosi cunicoli che le collegano. In questo mondo di sotto si scoprono gli interni, talvolta riccamente decorati, tutti diversi tra loro e tutti sorprendenti. Concedetevi il tempo di ascoltare i suoni semplici e ossessivi che giungono dall’interno delle chiese nelle ore di preghiera, lasciatevi cullare dalla spiritualità che pervade questi luoghi e questa gente. In tutta la popolazione, in maggioranza cristiano-ortodossa, si avverte una profonda religiosità che fa di queste chiese luoghi vissuti, autentici e non semplici monumenti, per quanto dichiarati dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità. Due giorni a Lalibela sono il minimo sindacale per ammirare uno dei più raffinati esempi di architettura cristiana del mondo intero ma, avendo un giorno in più, ci spingiamo 40 chilometri più a nord, percorrendo una strada solo in parte asfaltata lungo la quale si incontrano villaggi che sono un mix di tradizione e, per così dire, innovazione: rotonde capanne di fango con tetto in paglia che si alternano ad altre in muratura e tetto di lamiera. Lasciata la macchina, camminiamo per circa mezz’ora su un sentiero in salita avvolto da una ricca vegetazione finché si raggiunge la grotta dove quasi si nasconde Yemrehanna Kristos. È una chiesa rupestre (forse più antica di quelle di Lalibela) le cui pareti alternano strati di legno e pietra, oltre al fatto sbalorditivo di avere la base sospesa su legni d’ulivo per proteggerla dal terreno acquitrinoso su cui è costruita. In questo posto, difficilmente troverete altri turisti. Approfittatene per osservare la devozione di fedeli e sacerdoti e potrete intuire perché la religione in questo Paese conserva un ruolo fondamentale nella vita di tutti i giorni, oltre a influenzare la scena politica.
Gondar
L’Etiopia settentrionale racchiude buona parte dei tesori storici del Paese e Gondar è una tappa fondamentale per qualunque visitatore. Circa 350 km separano questa città da Lalibela ma per raggiungerla vi serviranno almeno 6 ore di auto. In alternativa, investite cento euro per 40 minuti di volo e atterrate in questa antica capitale. Il punto dove fermarsi ad osservare la vita, la confusione e l’allegria degli indaffarati abitanti di Gondar è la vivace Piazza (si pronuncia “piassa”) che, oltre al nome, conserva diversi edifici a testimonianza della breve colonizzazione italiana. Tra questi, scoviamo un piccolo ristorante in cui lo stile degli arredi ci riporta ai nostri anni cinquanta. Qui prendiamo confidenza con il ful, un purè di fave e burro che è la tipica colazione etiope. Una vera delizia, specie se confrontata con l’onnipresente injera, una sorta di piadina su cui vengono disposte le pietanze, vera base della cucina etiope ma non sempre gradita ai viaggiatori.
La ragione per cui Gondar è una delle mete immancabili di un viaggio in Etiopia è la cittadella imperiale. Una volta varcate le mura che la circondano, vi troverete davanti a palazzi in buono stato di conservazione e rovine (tra alberi del pepe e jacaranda) in uno stile architettonico unico e sorprendente che unisce stili portoghesi, moreschi e indiani. Costruita nel diciassettesimo secolo, è la testimonianza della potenza di questa antica capitale che vanta anche una chiesa tra le più belle del Paese. È Debre Berhan Selassie, forse la chiesa più decorata tra le tante che abbiamo visto. Anche qui, come ovunque in Etiopia, a rendere memorabile la visita non è solo la spettacolarità del luogo e delle sue meraviglie ma anche la pressoché totale assenza di turisti.
Verso il cielo: sui Monti Simien
Un trekking a tre, quattromila metri d’altitudine, con pernottamento in tenda a 3.600 metri. È questo che abbiamo programmato di fare approfittando della vicinanza di questo parco a Gondar. Dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, è stato istituito per proteggere una catena montuosa considerata tra le più belle del continente, dove le vette arrivano fino a 4543 metri di altitudine.
Considerando che i costi non sono proibitivi, è consigliabile prendere contatto con un’agenzia, cosa che noi abbiamo fatto tramite Evaneos, per non avere sorprese e risparmiare tempo. Infatti, occorre ingaggiare una guardia armata (obbligatoria) e una guida (consigliata vivamente: le guardie parlano solo amarico). Il massimo del comfort, poi, si ottiene concedendosi anche un cuoco e, perché no, un mulo per il trasporto dei bagagli.
Indipendentemente da quanto lungo sarà il percorso che avrete deciso di fare, ciò che vedrete sarà un panorama unico, fatto di pinnacoli e rocce frastagliate composte da diversi strati di lava accumulatisi milioni di anni fa. I più fortunati avranno occasione di avvistare lo stambecco del Simien ma tutti avranno il piacere di camminare in compagnia di branchi di magnifici gelada, l’unica specie di scimmia che non cercherà di curiosare tra i vostri oggetti.
Nel corso del nostro viaggio, abbiamo pernottato con tenda e sacco a pelo a quota 3.600. Cenare con le luci del tramonto, godersi il cielo stellato prima di chiudere gli occhi e addormentarsi sapendo di essere osservati da iene e sciacalli è un’esperienza indimenticabile. Ricorderemo a lungo anche il sorprendente sbalzo termico, più forte del nostro pur robusto equipaggiamento da montagna. Ma questo è un trascurabile dettaglio.
Angelo ha viaggiato in collaborazione con Evaneos. Gli autori Lonely Planet non accettano gratuità in cambio di recensioni positive.