Palermo, e l’entusiasmo di perdere il mio centro di gravità permanente

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Se l’amore si misura anche nella capacità di vedere i difetti del proprio partner e di continuare a desiderarlo malgrado le sue imperfezioni, se non proprio in virtù di queste, allora il legame sentimentale fra i palermitani e la loro città è il più intenso e passionale della storia dell’umanità. 

Il parco della Favorita, Palermo © Luca Schilirò / Lonely Planet Italia
Il parco della Favorita, Palermo © Luca Schilirò / Lonely Planet Italia
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Odi et amo

Nessuno potrà incenerire in poche frasi i vostri entusiasmi da viaggiatore più di un palermitano DOC. Se malauguratamente vi trovate a esternare un vago desiderio di vivere nel capoluogo siciliano, il vostro interlocutore che fino a pochi minuti prima annuiva consenziente mentre decantavate le acque cristalline di Mondello, la cucina sopraffina e la vivacità culturale della città, d’improvviso si trasformerà in uno jedi armato di spada laser pronto a sopprimere sul nascere il potenziale palermitano che è in voi. Potrà farlo velatamente, magari chiedendovi se avete visto, arrivando dall’aeroporto, la stele che ricorda la strage di Capaci, prima di perdere lo sguardo in un mondo di ricordi lugubri; a volte vi sfiderà esplicitamente a guidare in città (e dire che ora almeno il centro storico è in gran parte pedonale); in ogni caso saprà mostrarvi il ‘lato oscuro della forza’. Lo farà non per cattiveria ma per misurare la vostra convinzione: per amare Palermo bisogna essere pronti a mettere in discussione i proprio schemi mentali, ad abbandonare le dicotomie, insomma a ‘cambiare idea sulle cose e sulla gente’. 

Il murales dedicato a Falcone e Borsellino al porticciolo della Cala © Luca Schilirò / Lonely Planet Italia
Il murales dedicato a Falcone e Borsellino al porticciolo della Cala © Luca Schilirò / Lonely Planet Italia

Di primo acchito chi approda al capoluogo siciliano può essere tentato di leggerne le peculiarità in termini di contraddizioni stridenti, ma poco alla volta, addentrandosi nei vicoli e nell’anima della città, sentirà che il fascino di Palermo sta proprio nell’essere se stessa e la sua negazione, nell’armonizzare gli opposti creando una nuova essenza: quindi il mare c’è, ed è anche assai bello, ma non dovete stupirvi se in un vicolo ad appena una manciata di metri dal lungomare potrete scordarvi di essere in una città che si affaccia sul Mediterraneo; l’architettura arabo-normanna non è né araba né normanna, ma è appunto la materializzazione di come mondi, religioni e storie in apparenza inconciliabili si possono sposare in un mix sbalorditivo; i muri decadenti trovano la loro ragione d’essere come sfondo di un nuovo colorato murales; e nella Chiesa dello Spasimo la volta celeste che si è sostituita a quella in muratura (crollata per un terremoto) è la più sublime copertura che quell’edificio di ispirazione gotica potesse trovare.  

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l’architettura arabo-normanna non è né araba né normanna, ma è un mix sbalorditivo © Giulia Grimaldi / Lonely Planet Italia
l’architettura arabo-normanna non è né araba né normanna, ma è un mix sbalorditivo © Giulia Grimaldi / Lonely Planet Italia

“[Palermo] È fatta a strati. Ogni volta che ne sbucci uno ne resta un altro da sbucciare.” Con queste parole Roberto Alajmo descrive la sua città in Palermo è una cipolla. Per me Palermo è una cipolla sì, ma caramellata: noi viaggiatori la assaggiamo, siamo sorpresi dal suo gusto agrodolce, c’è chi la troverà un po’ forte per il proprio palato, chi ne andrà matto, ma in pochi resteranno indifferenti al suo sapore. Gli abitanti sono gli chef che ce l’hanno consegnata già pronta per l’assaggio: mentre l’hanno affettata e tagliata per arrivare al suo cuore forse si sono ritrovati con le lacrime agli occhi, ma in tutti questi anni hanno cercato e sperimentato ricette per valorizzarne il gusto unico. Così è proprio dai progetti dei palermitani che si sono impegnati per rendere sempre più appetibile questa cipolla che voglio partire a raccontarvi le mie 48 ore a Palermo. 

Al mercato di Ballarò © Giulia Grimaldi / Lonely Planet Italia
Al mercato di Ballarò © Giulia Grimaldi / Lonely Planet Italia
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Una città che cambia… restando se stessa

Accade spesso che ‘riqualificazione’ sia sinonimo di gentrification e alcune vie del centro storico di Palermo non fanno eccezione, ma questo non è il caso di Ballarò, il quartiere che lega il suo nome al famoso mercato. Certo fra i banchi si aggirano quasi tanti turisti armati di macchina fotografica quanti palermitani intenti a fare la spesa, eppure passeggiando nei suoi vicoli, anche in prossimità di monumenti e siti storici, non si ha la sensazione di essere in un mondo imbellettato alla bell’e meglio per piacere a chi si trova a passare. Nel giro di qualche isolato una quindicina di etnie diverse si mischia ai ruspanti ballarioti che vivono qua da generazioni, dando vita a un mosaico di lingue colori e religioni irrimediabilmente vivace, a volte esplosivo. 

Moltivolti, un ristorante, un coworking, un’impresa sociale dal motto “la mia terra è dove poggio i miei piedi” © Luca Schilirò / Lonely Planet Italia
Moltivolti, un ristorante, un coworking, un’impresa sociale dal motto “la mia terra è dove poggio i miei piedi” © Luca Schilirò / Lonely Planet Italia

In questo contesto nel 2014 un gruppo di 14 persone, alcune palermitane, le altre di varie nazionalità, ha fondato Moltivolti, un ristorante e un coworking ma anche una vera e propria impresa sociale dal motto “la mia terra è dove poggio i miei piedi”. I piatti di cucina internazionale regalano un viaggio culinario attraverso i sapori del mondo, dalla Sicilia all’Etiopia passando per l’Afghanistan, e sono una delle dimostrazioni più convincenti di come la commistione di tradizioni e culture sia una ricchezza che non toglie nulla all’autenticità di un luogo – difficile decidere se il couscous di pesce sia più siciliano o nord-africano! Ai fornelli si alternano cinque chef provenienti da paesi diversi, che nei mesi di lockdown hanno perfezionato le loro abilità con una formazione ad hoc. Dalla crew di Moltivolti è nata anche l’iniziativa Attraverso i miei occhi, un tour in cui a farvi da guida sarà uno dei giovani rifugiati che frequentano il quartiere, regalandovi l’esperienza poco standardizzata di una visione soggettiva (ed emozionante) di questo microcosmo.  

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I Cantieri Culturali alla Zisa© Giulia Grimaldi / Lonely Planet Italia
I Cantieri Culturali alla Zisa© Giulia Grimaldi / Lonely Planet Italia

Usciamo da Ballarò per scoprire al di fuori del centro una Palermo meno monumentale ma ricca di stimoli. Alcune aree periferiche negli ultimi anni hanno mostrato un dinamismo tale da indurre gli studiosi (nello specifico l’urbanista palermitano Maurizio Carta) a coniare un neologismo, ‘poliferie’, per indicare le tante realtà decentrate oggi strategiche per il rinnovamento, grazie alla loro capacità di generare ‘polis’, cioè comunità. Se in astratto il concetto può sembrare un po’ sfuggente, perdendosi nei meandri delle etimologie greche (o della mia spiegazione poco tecnica), sicuramente vi apparirà più chiaro quando vi troverete ai Cantieri Culturali alla Zisa, un immenso complesso industriale dismesso e riconvertito in una fabbrica di cultura e socialità. Sui viali si affacciano istituti culturali, il Centro Internazionale di Fotografia, diretto da Letizia Battaglia, lo spazio ZAC, consacrato all’arte contemporanea e preso in gestione dalla Fondazione Merz, il cinema De Seta, il cineporto e luoghi del vivere quotidiano nati per costruire relazioni, come Cre.Zi. Plus, una caffetteria cucina che è anche un incubatore di creatività, con spazi per il coworking e per incontri. Tutti i soggetti che animano i Cantieri lavorano in sinergia, come una comunità. 

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Un altro modello di poliferia è il borgo di pescatori di Sant’Erasmo, appena a sud del Foro Italico (il lungomare del centro). Il primo passo per riqualificare la zona si è compiuto quando l’Ex Deposito delle Locomotive Sant’Erasmo è diventato sede del poetico Ecomuseo Mare Memoria Viva, che ricostruisce la storia del waterfront palermitano, a partire dal dopoguerra, con il coinvolgimento degli abitanti che di quella storia sono stati partecipi: la narrazione è corale e mostra le tante sfaccettature di un rapporto, quello fra i palermitani e il mare, che oggi va ricostruendosi con consapevolezza. L’obiettivo non è solo raccontare il passato, ma indagare l’immagine di una comunità marittima che c’era perché possa tornare a essere. A questo primo importante tassello nella riqualificazione del borgo se ne sono aggiunti nel tempo altri, come la ristrutturazione del molo e l’inaugurazione di un luminoso ristorante di pesce, la Trattoria Molo Sant’Erasmo, in una vecchia tonnara, un luogo ritrovato dopo 50 anni di abbandono. Accanto, ancora in fase di realizzazione, nascerà un bell’ostello sociale, i cui proventi andranno a sostegno dei progetti contro la dispersione scolastica e delle famiglie fragili del borgo; gli ospiti potranno soggiornare in camere accoglienti, dotate di tutti i comfort di un quattro stelle, a un prezzo calmierato in cambio di un po’ del loro tempo da dedicare alle iniziative in corso.

Fra Mauro a Danisinni
Fra Mauro a Danisinni tra orti, animali e tendoni da circo e ospitalità per i turisti © Giulia Grimaldi / Lonely Planet Italia

Chiudiamo questa carrellata sulla Palermo che rinasce senza tradire la sua essenza con la storia di Danisinni, una minuscola borgata che è ‘periferica’ non per posizione geografica, ma per storia. A ridosso della Porta Nuova, comoda tappa tra la Cattedrale e la Zisa lungo l’itinerario arabo-normanno, Danisinni è una conca verde, il grembo fertile di Palermo, incassata tra il centro e la periferia ovest e accessibile solo da una via, caratteristica che ha contribuito alla sua marginalizzazione. Dopo un lungo periodo di isolamento, negli ultimi anni grazie all’impegno congiunto delle istituzioni e di Fra Mauro, il parroco francescano della Parrocchia di Sant’Agnese, è riemersa dall’oblio per diventare una fucina di progettualità che sorprende i viaggiatori e ancora più molti palermitani. Il suo fulcro è la fattoria urbana, con tanto di orti, asinelli e animali da cortile, cui è annesso un ostello sociale per i viaggiatori che vogliono creare una relazione con la gente del posto e che apprezzano il vantaggio di soggiornare in un contesto rurale, pur restando vicinissimi al centro. Chi non pernotta potrà comunque partecipare alle iniziative di home restaurant per assaggiare la cucina casereccia preparata dagli chef più superbi – le mamme di Danisinni, chi meglio di loro? – oppure far svagare i bimbi nel parco giochi immerso nel verde. Lo spazio include anche un tendone da circo dove le compagnie teatrali accolte nella residenza per artisti mettono in scena i loro spettacoli. 

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Il porticciolo della Cala © Luca Schilirò / Lonely Planet Italia
Il porticciolo della Cala © Luca Schilirò / Lonely Planet Italia

Novità e grandi classici

Le radici di Palermo affondano nell’acqua, in quel tratto di costa corrispondente all’attuale Cala dove un tempo sfociavano due fiumi (ormai interrati) formando un approdo tanto ampio e profondo che, quando vi sbarcarono, gli antichi greci lo battezzarono Pan-ormos, ‘tutto porto’, etimo da cui deriva il nome della città. Le fareste dunque un grave torto, e ancor di più lo fareste a voi stessi, se decideste di trascurare il mare. Protagonista indiscussa della vita balneare è Mondello, dalle acque cristalline e la sabbia chiara, mentre per salpare a bordo di una barca e godervi la vista di Palermo dal largo il punto di partenza è il porticciolo turistico della Cala

Una delle sale di Palazzo Butera © Luca Schilirò / Lonely Planet Italia
Una delle sale di Palazzo Butera © Luca Schilirò / Lonely Planet Italia
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Poco a sud del porto, sul fronte mare, si impone allo sguardo la sagoma elegante e immensa di Palazzo Butera, oggi una casa-museo che è fra le più entusiasmanti novità della scena culturale del capoluogo. Preparatevi a un’esperienza immersiva nell’arte, circondati da un’esposizione quanto mai eterogenea che abbraccia acquerelli di artisti-viaggiatori, oggetti di designer e provocatorie opere d’arte contemporanea come le foto di Gilbert & George, il tutto allestito in modo da creare un dialogo dinamico fra epoche e geografie e di mettere in connessione l’esposizione con la meravigliosa cornice che l’accoglie, una residenza nobiliare finalmente riportata al suo splendore settecentesco. Con la restituzione al pubblico di Palazzo Butera si è completata la creazione di una sorta di polo museale, che include i vicini e importantissimi musei di Palazzo Chiaramonte Steri e di Palazzo Abatellis, a pochi passi da Piazza Marina, dove le eleganti facciate dei palazzi storici si dispongono intorno a un cuore verde, il Giardino Garibaldi, ideale per una sosta all’ombra del fogliame. Su tutte le piante svetta il gigantesco Ficus macrophylla, dalle caratteristiche radici aeree che corrono fra i rami e il terreno: se avete già messo mano al cellulare per scattare una foto, fermatevi un attimo a valutare bene l’inquadratura perché siete di fronte all’albero più grande d’Europa! 

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La  celebre Fontana della Vergogna vista dalla terrazza del monastero di Santa Caterina © Giulia Grimaldi / Lonely Planet Italia
La celebre Fontana della Vergogna vista dalla terrazza del monastero di Santa Caterina © Giulia Grimaldi / Lonely Planet Italia
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Sono molte le chiese del centro che nascondono dietro i portali un tripudio di barocco palermitano, però la bella Chiesa di Santa Caterina, con la sua scenografia di marmi policromi contro cui si stagliano candide statue, ha un asso nella manica: i Segreti del Chiostro, la pasticceria nell’adiacente complesso monasteriale che vi porterà dritti al settimo cielo con i suoi dolci, preparati seguendo gli antichi ricettari delle monache. I tesori arabo-normani, un complesso di edifici civili e religiosi sparsi tra Palermo, Monreale e Cefalù, incarnano il multiculturalismo del regno normanno e nella loro straordinaria commistione di architettura occidentale cristiana, orientale bizantina e islamica tramandano una storia di convivenza – un valore che non è sfuggito all’UNESCO, che tutela questo patrimonio. Lasciatevi abbagliare dal luccichio dei mosaici della Martorana e della Cappella Palatina, stupitevi di fronte all’architettura fiabesca della Cattedrale, respirate la quiete del chiostro di San Giovanni degli Eremiti e sfidate voi stessi a trovare il numero esatto dei diavoli della Zisa – dipinti fra varie figure mitologiche, pare si nascondano a turno in modo che i conti non tornino mai. 

Poi calzate le scarpe da ginnastica e andate a fare una corsetta o un po’ di trekking nello sconfinato Parco della Favorita, perché ammettiamolo: i palermitani vi metteranno in guardia su tutto ma non su quanto fatalmente inevitabile sia passare gran parte del tempo a mangiare, conquistati dal profumino dello street food, incuriositi dalla forma perfettamente tondeggiante di un’arancina o di un’iris (cosa si nasconderà sotto l’involucro croccante?) o ancora sorpresi da come le sardine possano trasformarsi in un beccafico, cioè un uccello goloso di fichi, nella fantasia dei cuochi locali. Ora che avete l’acquolina in bocca, è il momento di cominciare a programmare il viaggio. 

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