Un percorso di rigenerazione spirituale in Bhutan

Redazione Lonely Planet
6 minuti di lettura

Se sognate di fare un viaggio in Bhutan per dedicarvi a voi stessi e imparare a conoscere con rispetto e lentezza questo paese incredibile, perché non considerate di fare un bellissimo trekking? Un grande impegno nazionale ha favorito la rinascita del Trans Bhutan Trail nel 2022; qui vi racconteremo un tratto di questo itinerario che si snoda tra cultura, spiritualità ed ecologia.

Lo dzong di Simtokha è l’unico rimasto completamente intatto ©KeongDaGreat/Shutterstock
Lo dzong di Simtokha è l’unico rimasto completamente intatto ©KeongDaGreat/Shutterstock
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Già nel XVI secolo i messaggeri incaricati di consegnare comunicazioni importanti tra gli dzong (fortezze) situati in posizione strategica da ovest a est attraverso il cuore del paese percorrevano il Trans Buthan Trail. Di quei primi dzong, Simtokha è l’unico rimasto completamente intatto ed è il punto di partenza di un trekking di più giorni lungo una sezione del TBT fino a Rukubji di circa 55 km – solo una piccola parte della lunghezza complessiva del percorso (403 km), che va dalla provincia di Haa a ovest a quella di Trashigang a est.

Secondo una credenza popolare, Simtokha fu costruito nel luogo in cui un demone era stato inghiottito dalle montagne. Edificato nel 1629 da Zhabdrung Ngawang Namgyal, il lama tibetano che unificò il Bhutan ed è considerato il padre fondatore del paese, fu anche, a quanto pare, il primo dzong destinato a funzioni amministrative e monastiche.

Recatevi nel santuario interno del tempio per riflettere sul modo in cui l’interazione tra fede e potere dinastico ha plasmato il Bhutan moderno.

Completata la lezione di storia nazionale, gli escursionisti possono raggiungere il TBT direttamente dalle porte dello dzong. In direzione est è un’escursione di difficoltà media, con discese e salite ripide e fiumi da attraversare su ponti di legno. In base agli standard di tutela ambientale del Bhutan, la ricostruzione del TBT deve essere a basso impatto, e non è consentito l’uso di cemento o di passatoi per facilitare il percorso. Lungo il sentiero si possono notare i segni della presenza degli orsi – tracce di artigli incise nei tronchi di rododendri e querce – mentre piccoli appezzamenti agricoli che coltivano peperoncini piccanti (una coltura redditizia) e distese di meli testimoniano l’autosufficienza del paese.

Un chorten al al Dochu La ©Only Fabrizio/Shutterstock
Un chorten al al Dochu La ©Only Fabrizio/Shutterstock

Gli spiriti della foresta

Gli abitanti del luogo bruciano fasci di ramoscelli e incenso come offerte per gli spiriti al Dochu La, un passo a quota 3100 m avvolto dalla nebbia. I bhutanesi (che per l’80% sono buddhisti) credono fermamente nell’interdipendenza di tutte le forme di vita, e ciò vale anche per le montagne e le foreste. Le offerte sono un modo per dimostrare il rispetto e il legame con gli spiriti che popolano l’ambiente naturale. Gli escursionisti possono assistere alla preparazione delle offerte, facendo però attenzione a non considerare la cultura vivente bhutanese uno spettacolo per turisti.

Sotto il Dochu La, nel Parco Botanico Reale, il sentiero viene presto inghiottito da una fitta foresta in cui le chiome degli alberi si contendono lo spazio con i frammenti di luce solare che riescono a penetrare. Dai rami pendono cascate di licheni barba di bosco; gli insetti emettono versi striduli. Scendere lungo il sentiero fangoso, spesso infestato di sanguisughe, è molto impegnativo, ma attraversare boschi autoctoni consente di scoprire le attività di tutela ambientale dell’unico paese al mondo carbon negative e di rendersi conto che la natura può rifiorire quando i governi si impegnano seriamente per l’ambiente.

Nel cuore della valle un chorten (santuario) ricoperto di felci sulla riva del fiume ricorda che il TBT fu per secoli un viaggio spirituale oltre che fisico. Ogni bhutanese dovrebbe costruire un chorten nel corso della vita, e alcuni di essi, che custodiscono ceneri umane e reliquie religiose, sono considerati desideri da esaudire. Inoltre hanno svolto un ruolo importante nella riqualificazione del TBT: in alcuni punti, a causa dello sviluppo rigoglioso della giungla e del relativo isolamento, erano l’unica prova che i bhutanesi avessero mai percorso questo sentiero.

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Il Folle Divino

Il protagonista del tratto del TBT tra Thinleygang e Toeb Chandana è Drukpa Kunley, un monaco tibetano che visitò la valle nel XV secolo e rivoluzionò il rapporto dei bhutanesi con il buddhismo. Spesso definito dai bhutanesi ‘il maestro della verità’, condusse una vita poco ortodossa che gli valse l’affettuoso soprannome di ‘Folle Divino’.

Il Thinleygang Lhakhang è un tempio a due piani fondato dal fratello di Drukpa Kunley e dipinto con fiori di loto e gioielli simbolo di purezza. Al piano terra una statua d’oro raffigura il Buddha in un abbraccio tantrico con una divinità femminile, accanto ad alcuni preziosi thangka (dipinti), tra cui uno del Folle Divino con il suo arco e frecce e un seguito di cani.

Dal Thinleygang Lhakhang il sentiero scende accanto a ruote della preghiera azionate da torrenti e cascate ed entra in una valle appartata che ospita uno dei luoghi più sacri del Bhutan: il punto dove atterrò la freccia che secondo la leggenda Drukpa Kunley scoccò dal Tibet nel XV secolo per determinare il suo percorso attraverso il Bhutan.

La casa dove cadde la freccia è tutelata da secoli come monumento nazionale, e proprio accanto a essa fu costruito un tempio per scacciare l’energia maligna di una diavolessa. Avvolti dalla leggenda, la casa e il tempio si trovano tra due alture che si dice ricordino le ginocchia di Ngawang Chogyal, il fondatore tibetano del Bhutan che scelse il Toeb Chandana Lhakhang come luogo sacro.


Punakha  ©RobNaw/Shutterstock
Punakha ©RobNaw/Shutterstock
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Alla scoperta di Punakha

Che ci si arrivi a piedi o in auto, l’antica capitale di Punakha è un punto cruciale del Trans Bhutan Trail, e il suo imponente dzong alla confluenza di due fiumi è uno dei luoghi più fotografati del paese. I visitatori potrebbero restare sorpresi nel vedere gli enormi alveari che pendono dall’elaborato ingresso di legno dipinto e che non vengono rimossi in base al precetto buddhista di non nuocere agli animali. Un principio sul quale gli escursionisti possono riflettere nella sala delle assemblee dello dzong, che ospita statue del Buddha, di Zhabdrung e di Guru Rinpoche.

Dietro lo dzong un sentiero sterrato porta a un grande ponte di corde sul fiume. Sull’altra sponda si trova una delle sistemazioni in famiglia del Trans Bhutan Trail, gestita da Dawa Zam. Lungo tutto il sentiero ricostruito si stanno sviluppando forme di accoglienza per creare opportunità economiche in favore delle comunità locali. I benefici sono reciproci, poiché i turisti scoprono come si vive nelle case bhutanesi – questa è costruita in terra battuta, canniccio e fango e presenta elaborati elementi di legno intagliato intorno alle finestre, alle porte e ai tetti. Gli escursionisti che pernottano da Dawa potrebbero vedersi servire riso dandin dshering ed essere invitati a sbirciare nella stanza privata della famiglia dove è allestito l’altare.

Sulle orme degli yak

La sezione del trekking che dal Pella La segue la curva di una valle verso il remoto villaggio di Rukubji presenta un lato molto diverso del Trans Bhutan Trail: in estate cavalli e mucche pascolano sui prati alpini, mentre in inverno, quando i passi d’alta quota sono sepolti dalla neve, al loro posto ci sono gli yak. La valle è punteggiata di capanni di legno dei mandriani di yak, e di qualche fattoria dove le donne trasportano carichi di felci in decomposizione da usare come giacigli per le mucche.

Il sentiero si snoda tra torrenti gorgoglianti e piante medicinali come l’artemisia, che i bhutanesi usano per i bagni con le pietre calde per lenire i dolori muscolari. Rukubji è un esempio dell’isolamento in cui vivono molti bhutanesi, in un paese caratterizzato da ripide vette himalayane e una copertura forestale superiore al 70% (è previsto per legge che almeno il 60% della superficie del paese sia sempre ricoperto di foreste).

Gli abitanti del villaggio parlano ancora una delle lingue più antiche del Bhutan, usata da meno di 1000 persone. Tra le case di legno dipinte con tigri, draghi, leoni delle nevi e garuda (mitici uomini-uccelli), simboli bhutanesi di disciplina, generosità, purezza e coraggio, ci sono stretti appezzamenti coltivati a orti dalla comunità. Nel centro del villaggio gli escursionisti possono girare le ruote della preghiera del piccolo tempio di Rukubji per meditare o raccogliere benedizioni per proseguire il cammino. Se siete fortunati, il monaco custode potrebbe offrirvi un tè fumante al burro di yak e biscotti zuccherati.

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