Pedalando a Ravenna fra le ‘isole’ di un arcipelago urbano
Uno scampanellio singolo e brillante rompe l’atmosfera ovattata di Piazza del Popolo. Da dietro le mie spalle si avvicina il frullio di una bicicletta che l’attraversa nel senso della lunghezza. Mi sorprendo a chiedermi se sia passata fra le due colonne veneziane. Non si fa, porta sfortuna. Mi è stato detto la prima volta che sono stato a Ravenna.
Sono tornato molte volte a Ravenna, e mentre ne approfondivo i tanti passati, ho scoperto il suo splendido presente. Ed ho capito che oltre i palazzi della piazza, i capitelli con il monogramma del re ostrogoto Teodorico, le fondazioni di antichissime chiese, i portici veneziani, le architetture pontifice, gli abbellimenti ottocenteschi, dovevo spingermi fuori dal centro, dentro vocianti osterie, verso murales giganti (Ravenna è una vera capitale della urban art), nei pub della Darsena. Poi attraverso pinete selvagge fino a basiliche che spiccano isolate in una pianura ricamata di canali e specchi d’acqua, e a spiagge profondissime. Dovevo ‘navigare’ in un arcipelago urbano sospeso tra terra e acqua.
Da un tavolino della Tazza d’Oro, fra il frusciare di un Corriere di Romagna e un sottofondo di dialetto, vedo la bici filare in direzione di Via Diaz verso il mare. Da Ravenna il mare si sta lentamente allontanando per la sedimentazione dei detriti; resta il Canale Candiano a fare da cordone ombelicale con la città, che ancora oggi, anche se conficcata nella solida terra, preserva la sua anima di porto e centro balneare, che riaffiora nel dialetto ravennate, che nel colloquiare quotidiano è come un tubare di piccioni, bestie di città, mentre nelle risate e nell’inalberarsi ricorda il garrito di un gabbiano che spacca il silenzio dell’Adriatico.
Insieme alle pialasse, l’ambiente anfibio che ‘piglia’ e ‘lascia’ terreno in base alla marea, la pineta è l’immenso parco pubblico di Ravenna e ne definisce spazi e ambiti. È una foresta selvaggia, un cuscinetto naturale di alberi e stagni di acqua salmastra frequentati da fenicotteri che spezza la sequenza dei lidi romagnoli, e separa la costa dagli insediamenti dell’entroterra. Sotto la sua ombra profumata, in passato ininterrotta dalle valli di Comacchio fino quasi a Rimini, Dante ha trascorso ore ispirate, Nastagio degli Onesti ha imbandito il macabro banchetto di nozze elegantemente dipinto da Botticelli su tre cassoni conservati a Madrid, Byron si è lanciato in interminabili cavalcate.
Oggi la pineta è percorsa da bellissimi tracciati da affrontare in bicicletta, e oltre si stendono spiagge popolate di surfisti in attesa del ‘mèr mos’ e una sequenza di chioschi e ristoranti, in alcuni casi vere eccellenze come Finisterre o Singita. Sono luoghi di relax e socialità: da quando al mattino i bagnini aprono le sdraio, durante la giornata si animano i campi da beach volley e i cocktail risaltano sui teli stesi sulla sabbia, fino a notte, quando il rumore della risacca viene coperto da dj set e concerti di musica indipendente, ad esempio da Hana-bi.
Le pinete in realtà sono due: quella a nord, di San Vitale e quella a sud, di Classe, la più bella. Qui in età romana sorgeva il porto di Ravenna, sede della flotta (classis in latino) augustea, e qui si trova CLASSIS, museo della città e del territorio, che racconta la storia di Ravenna attraverso quella degli imperi di cui ha fatto parte. Sant’Apollinare in Classe (VI sec.), il cui campanile si innalza sulla pianura come il faro del porto che non c’è più, è storicamente la chiesa più importante della città, sorta sul luogo del martirio del vescovo Apollinare, fondatore della chiesa ravennate.
Quando nel grande spazio silenzioso della basilica si osserva Sant’Apollinare che raccoglie il suo gregge di fedeli, stagliandosi su uno sfondo verde di acqua e alberi, tra fiori, cervi e caprioli si ritrovano i colori e le forme della pineta e si capisce che la bellezza della natura che circonda la città, i ravennati la portano dentro: dentro le chiese e nell’animo.
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La natura infatti è anche nel centro della città, a pochi passi da Piazza del Popolo, in uno degli angoli che preferisco, che porta il suggestivo nome di Giardino delle Erbe dimenticate. È un piccolo orto botanico disseminato di tavolini dove consumare prodotti bio e caffè, mentre sullo sfondo si alza il campanile cilindrico del Duomo. Un tripudio di colori, api ronzanti e soprattutto profumi di piante e fiori che cambiano ogni tre passi. Proprio sotto il campanile si trova un altro giardino, questa volta di pietra, dove ancora una volta le piante giocano con l’acqua. Sono quelle che incorniciano le scene sacre del soffitto musivo del Battistero Neoniano (V sec.), uno dei capolavori assoluti dell’arte bizantina a Ravenna.
I mosaici sono il motivo per cui molti arrivano in città: una bellezza scintillante nascosta sotto una coltre di mattoni. In nessun luogo del mondo, nemmeno in Oriente, l’arte del mosaico si esprime in modo così compiuto. Nel Mausoleo di Galla Placidia (V sec.) brilla il primo cielo stellato della storia dell’arte, sulle volte verde acqua della Basilica di San Vitale (VI sec.) Klimt veniva ad ammirare il ritratto dell’imperatrice Teodora, trovandovi ispirazione per i suoi celebri inserti dorati, a Sant’Apollinare Nuovo (VI sec.) sfilano santi, vergini e re magi. Gorghi d’oro, azzurri stellari, fiumi di fuoco, nuvole ultraterrene raccontano la vicenda celeste con un linguaggio antico e misterioso; fiori, frutti e animali compongono giardini preziosi. Gli abiti degli imperatori e l’ordine dei cortei sono un libro illustrato di storia: i mosaici condensano tutto l’universo espanso di Ravenna, la sua storia e l’ambiente che la circonda.
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Storia e simbiosi con il territorio si ritrovano anche nel vociare composto del Mercato Coperto, 2600mq di primo Novecento che un ammirevole recente recupero, operato con gusto e minuziosa ricerca di arredi di modernariato, ha restituito alla città. Non solo un luogo per fare acquisti, ma anche per vivere, incontrarsi e mangiare, dove convergono e si possono consumare tutte le produzioni enogastronomiche del ravennate. Ancora una volta la campagna entra in città e la città si espande nel suo circondario.
Forse questa natura anfibia, diluita come nelle acque che ancora emergono nella cripta della cattedrale, ha affascinato Dante, arrivato qui per fuggire alle beghe della politica e ritrovare l’ispirazione. 700 anni fa il poeta morì a Ravenna e i suoi funerali vennero celebrati proprio nella Cattedrale di San Francesco. Così un ennesimo microcosmo ravennate è quello dantesco, raccontato dal nuovo Museo Dante, la zona del silenzio e la tomba del poeta.
Con gli occhi pieni di luce e il naso inebriato di odori, rimane ancora spazio per ascoltare le emozioni della letteratura. Per tutto il 2021, ogni giorno un canto della Divina Commedia verrà letto presso il sepolcro del poeta. Una perfetta pausa di riflessione prima di tornare al ‘mare’, questa volta sulla rive della Darsena, sorseggiando birra in un brewery pub o davanti una terrina di cozze selvagge, o semplicemente seduti sulla riva a guardare il tramonto far arrossire l’arcipelago-Ravenna.