Praia, la capitale in divenire di Capo Verde
Le città alle volte si mimetizzano, giocando a nascondino con la propria storia, alle volte si trasformano velocemente. Nel caso di Praia, la nuova capitale di Capo Verde, succedono entrambe le cose. Ci troviamo sull'isola di Santiago, la più “africana” delle isole dell'arcipelago, dove il paesaggio è molto lontano dalle cartoline di un tropico patinato e confortevole.
Santiago è altro: il meticciato pantagruelico provocato nei secoli dalla tratta degli schiavi e dalla colonizzazione vi ha plasmato le maggiori differenze a livello di pigmenti e di frammentazione della cultura. Capo Verde è una repubblica
giovane che mantiene ancora un contatto forte, se non altro per questioni di quote immigratorie, con il suo ex patronato coloniale, il Portogallo, e con gli stati che costituivano la destinazione transatlantica della tratta degli schiavi nei secoli scorsi, Brasile in primis. Recisi alcuni legami, con altri in via di recisione (il creolo, la bellissima lingua correntemente parlata nelle isole, potrebbe diventare presto anche la lingua ufficiale soppiantando il portoghese), restano altri fili più difficili da recidere e si affacciano nuovi condizionamenti economici, mediatici, culturali (l’ombra lunga della potenza imprenditoriale cinese è arrivata anche qui). La capitale dell’Isola di Santiago è Praia, affacciata sul litorale meridionale, quasi centocinquantamila abitanti. Una macchia di colori nel panorama aspro di una terra nata dai vulcani.
Città piccola, ma caotica
L’urbanità di Praia è sviluppata attorno alla baia e sulle colline con innesti anche abbastanza deturpanti e con un dinamismo legato al suo porto, ad un mercato coloratissimo, quello di Sucupira, e ad un centro nevralgico, il Platô, piazzato su un altopiano che domina l’Oceano Atlantico, dove si concentrano gli uffici, le banche, i centri commerciali. Praia, unico vero agglomerato urbano, vero polo della vita commerciale dell’intero arcipelago, ha una sua identità un po’ bizzarra fatta di mercati, scambi, stoccaggi legati all’importantissimo porto. Vecchi retaggi coloniali, strane consuetudini nel traffico (si guida a destra ma la precedenza è a sinistra, i semafori ci sono ma sono quasi tutti spenti) e un’urbanizzazione randomica che soprattutto nei quartieri di Gamboa, Achada Grande, Fazenda ha creato una serie ininterrotta di microcantieri (nel senso che sono case autocostruite) sempre in divenire, o in stand-by. Per questo occorre un po’ forzarsi a non deambulare soltanto sul Platô e provare ad andare a scoprire anche gli altri quartieri meno fascinosi, meno rassicuranti, ma certamente altrettanto vivi.
Musei, farmacie e cibo creolo
All’ora di pranzo (o anche a cena) niente di meglio che passeggiare nella lunga Via pedonale 5 de Julho e di tanto in tanto virare nelle altre viuzze che vi confluiscono oppure verso la più congestionata Avenida Cabral. Le occasioni per degustare un delizioso piatto creolo non mancano di certo. Noi abbiamo testato di persona L’Avis, il Café Sofia, il Bistro Noventa, la Kaza Katxupa, i Restauranti Marilu, Maguy di Caré e José da Rosa, La Pastelaria Vilu sul menu c’è solo l’imbarazzo della scelta. Una delle specialità culinarie è il “Cachupa”, che presenta due varietà: quello per i “poveri” con mais bollito, patate dolci, fagioli e manioca e quello per i “ricchi”, a cui si aggiunge pollo o altri tipi di carne. Altre prelibatezze tipiche sono le Pasteis, sfoglie di pesce fritto; la “Torta con il diavolo” composta da tonno fresco, pomodori e cipolle (tutto avvolto in un impasto di patate e farina di mais, che viene fritto); altre zuppe, tra cui il “Caldo de Peixe” (brodo di pesce) e la Moreia fritta, cioè la murena. Il Peto Pomba e il Loja Beco, un localino davvero molto root a pochi passi da La Pastelaria Vilu, sono invece molto caratteristici, interessante farci un salto (come anche altri barucci senza insegna), ma è bene andare cauti con le bevande artigianali, a meno che non dobbiate usarle come carburante per lo scooter.
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Dopo pranzo fate un salto anche nella Farmacia Africana, se non altro per ammirarne la bella facciata e poi approfittate delle altre mete da visitare nel Platô: la piazza Albuquerque, il vecchio municipio, il palazzo presidenziale del XIX secolo. In città si trovano anche alcuni musei: il Museu Etnográfico, l’Arquivo Histórico Nacional e il MAC, la sala museo che permette ai visitatori di immergersi nella vicenda politica e nella sfera intima di un grande rivoluzionario: Amilcar Cabral, il vate dell’Indipendenza dal giogo coloniale portoghese. Un luogo prezioso curato direttamente dalla Fundaçao Amilcar Cabral. Impossibile non notare, salendo sui tornanti del Platô, il profilo altero e pensoso di un esploratore rinascimentale. Si tratta di una statua dedicata all'esploratore portoghese Diogo Gomes, che nel 1460 fondò il primo insediamento di Praia Santa Maria, sull'isola di Santiago. Altro luogo simbolo della città di Praia è il Farol De Maria Pia conosciuto anche come Farol da Ponta Temerosa o Farol da Praia: è un faro che si trova a 3,5 chilometri dalla capitale e risale al 1881.
Morna, coladeira e altri patrimoni sonori
Quando si arriva in questo arcipelago, e Praia non fa eccezione, i musicisti della storia musicale di Capo Verde finiscono per rimbalzarti addosso ovunque: Ildo Lobo è appunto un grande interprete di morna cui è stato dedicato il Palazzo che accoglie il ministero della cultura, l’effige di Codé di Dona e Cesária Évora è impressa rispettivamente nelle monete da mille e duemila escudos, la vocalist Elida Almeida è stata ingaggiata come testimonial di un succo di frutta e i manifesti con la sua immagine giganteggiano nelle vie della capitale...insomma il patrimonio immateriale dell’umanità costituito non solo da stili come morna e coladeira, ma anche da funana, tabanka, batuku, è il vero valore aggiunto di questo arcipelago di dieci isole piazzato davanti al Senegal. I capoverdiani lo sanno e cercano di veicolare il verbo (sonoro) in ogni modo.
Un centro propulsivo della cultura musicale della capitale è situato proprio in una delle estremità dell’Avenida Amilcar Cabral, sul Plateau: è il Quintàl da Musica, un magnifico centro didattico e piccolo museo aperto anche ai concerti. E, a proposito di concerti: A nossa musica vale ouro (“la nostra musica vale oro”) recitava uno spot promozionale che passava e ripassava sugli schermi, tra un concerto e l’altro, durante la lunga settimana di eventi musicali che caratterizza da qualche anno il mese di Aprile a Praia.
Deve essere stato a partire da questa lungimirante riflessione che dopo aver inventato l’Atlantic Music Expo, gli organizzatori, nel 2018, hanno deciso di provare a prolungare la permanenza di addetti ai lavori, turisti e appassionati che giungono nella capitale Praia per seguire l’Expo, architettando un altro evento, il Kriol Jazz Festival, che fa sì che l’uno sostanzialmente esondi nell’altro e completi una proposta alla fine davvero ricca e corposa. L’Atlantic Music Expo (AME) è una kermesse che quest’anno si celebrerà dal 13 al 16 Aprile ed è nata con l’intento dichiarato di coprire, far dialogare e mettere in scena i bacini musicali delle due sponde dell’Oceano Atlantico. Alle proposte concertistiche in quattro giorni si affiancano conferenze, speed meeting e djset. Gli spazi in cui si celebrano le performance e gli eventi sono il Palacio da Cultura (un bellissimo spazio che comprende anche un bar, un piccolo auditorium e una galleria per mostre), la Rua Pedonal, Praça Luis Camões, l’auditorium de l’Assembleia Nacional per le serate di gala e il club Warehouse per i dj set.
Escursioni all’interno dell’Isola
Occorre passare davanti al mercato di Sucupira, il più “africano” e il più movimentato di tutta l’isola (anche rispetto al più edulcorato e turistico “Mercado Central” piazzato sul Plateau), per dirigersi verso l’interno dell’isola. O per trovare un Alugar, i furgoncini che fanno la spola tra i vari centri e rappresentano il mezzo di trasporto più comune, soprattutto nelle zone rurali, ovvero quasi tutte se si esclude la capitale. Perfino Tarrafal, nel punto geografico più a nord, con l’ex-colonia penale di Chào Bom e la spiaggetta bianca tra le palme. Un centro che si vorrebbe trasformare in polo chic e attrazione turistica e che ancora invece ha l’aspetto un po’ instabile della via di mezzo, tra il posto triste che è stato e il posto solare e ammiccante che vorrebbe diventare. Con 300/350 escudos capoverdiani (1 escudo corrisponde più o meno a 1 centesimo di euro) un alugar ti porta da Praia a Tarrafal, percorrendo tutto l’interno di Santiago, una sessantina di chilometri di passi scoscesi e altopiani. “Le eruzioni vulcaniche delle ere passate e l’inaridente calore del sole tropicale hanno in molti luoghi reso il suolo inadatto alla vegetazione”, parole di Charles Darwin che descrivono oggi, come descrivevano già nel 1832, l’impressione che danno gli altipiani aspri e asciugati dell’interno di Santiago. Una lunga teoria di spianate e bassi picchi, tormentati dalla lestada, il vento degli alisei, e vinti solo in qualche caso dalla cocciutaggine degli abitanti e dalla diversità di latitudine. Si incontrano, in questi casi, anche delle piccole oasi nelle quali compare un verde sbiadito di vegetazione con macchie fresche e più in là anche preziosi pozzi e cisterne.
La città vecchia
Rientrando verso la Capitale è d’obbligo però fare un’altra tappa. La Cidade Velha, a dodici chilometri da Praia sempre sulla costa, non può essere altro che quello che è: il ricordo di Capo Verde, la sua memoria storica. La Cidade, che oggi sonnecchia in un’atmosfera da sciabordio soporifero, è stata per secoli, quando si chiamava ancora Ribeira Grande, lo scalo obbligato delle rotte navali dell’Atlantico. Soprattutto schiavi e incursioni piratesche dapprima, commerci e traffici poi. La Cidade Velha, patrimonio Unesco dal 2009, è dunque il più antico centro di tutto l’arcipelago e i pochi resti, le vestigia architettoniche di chiese, mura, fortificazioni, fortezze (quella di Sao felipe), rocche che hanno resistito alla devastazione del tempo e delle razzie, bastano comunque a regalare a questo posto un alone di frantumata eleganza. Vale la pena di fare un giro in questo crocicchio di case avvolto da un’atmosfera placida e ovattata. Vale la pena anche camminare un paio di centinaio di metri e arrivare all’interno della restaurata chiesa di Nossa Senhora do Rosario, che risale al 1495, prima di tornare poco più sotto, dove l’ombra della colonna dove un tempo venivano legati e fustigati gli schiavi si lascia confondere dal buio di una notte tropicale e dai fumi acri del grogue, il superalcolico a base di canna da zucchero che nella Cidade viene ancora distillato, artigianalmente, di casa in casa.