Taiwan, l'alba che vale il viaggio
È una delle più affascinanti del mondo e ha migliaia di fan, anche se per conquistarla si deve sudare. Parliamo dell'alba di Alishan, a Taiwan, e dei bizzarri incontri che si possono fare lassù sulle montagne. Il racconto di Jacopo Tomatis, nostro inviato speciale sull'isola.

Taiwan, l'alba che vale il viaggio
Articolo di Jacopo Tomatis [redattore del giornale della musica]
Mancare l'alba sarebbe una grande scortesia: è la main attraction di Alishan, rinomata località montana a una settantina di tortuosi chilometri da Chiayi, ai piedi dei quasi quattromila metri del monte Yushan (è tutto verde, il che ci ricorda che siamo ai tropici). Il problema naturalmente è che il sole sorge alle 5:40 e che ho passato la notte cercando di agganciare il Wi-Fi dell'hotel per dialogare col resto del mondo.
Fino allo scorso aprile, per salire in cima allo Chusan, a circa 2500 metri (da dove si vede "una delle tre migliori albe del mondo") si usava la ripidissima ferrovia, costruita dai Giapponesi per trasportare il legname. Ora, dopo che un albero abbattuto da un tifone ha causato un incidente mortale, la linea è chiusa. Il che, naturalmente, scoraggia i turisti cinesi più pigri: ci vuole un'ora e mezza di cammino per arrivare in cima, e nel parco le auto non circolano (noi, per fortuna, abbiamo un permesso).
Lasciamo quindi la superba Alishan House - dove nel corso degli anni tutti i più importanti notabili di Formosa, da Chiang Kai-shek in giù, sono stati svegliati alle 4 da una zelante cameriera - e passiamo in mezzo a una fitta foresta di cipressi, alcuni secolari. I più vecchi hanno duemila anni e sono alti decine di metri, molti sono cresciuti l'uno sopra il ceppo tagliato dell'altro, creando barocche architetture di radici condivise e contorte.
Fra l'ora scarsa di sonno, l'aria frizzante e il filtrare della luce del sole fra i tronchi nella foschia del mattino (che fa molto acquerello giapponese), ci si scorda dell'umido smog di Taipei City e si pensa di essere arrivati in un altro mondo, meraviglioso e fiabesco.
Tonificati dall'alba, arriviamo al parco culturale della tribù Tsou, dedicato agli aborigeni dell'isola. Gli aborigeni, nei secoli "integrati" nella grande maggioranza di popolazione di origine cinese, hanno in parte riscoperto le loro radici tribali, e in questo villaggio (che in realtà sembra più un villaggio vacanze) coltivano un ottimo tè Oolong per i turisti.
Il biglietto da visita del ragazzo che ci accompagna dice "Yuyupas International Corp." Piuttosto strano per una tribù di nativi. Il ragazzo, però, è un sound engineer professionista, che ha lavorato per anni negli States. Che cosa ci fa in questo giardino dell'Eden? Fa la guida in inglese con un bell'accento yankee, e cura il suono per lo spettacolo di musiche e danze tribali che rappresenta l'attrazione più amata del villaggio Yuyupa.
Ve la consigliamo senza alcun dubbio: il fatto che i super-palestrati aborigeni, vestiti come il tizio indiano dei Village People, ballino coreografie a metà fra una danza tribale e la break dance su basi di etno-disco anni Novanta (fra cui l'agghiacciante "Return to Innocence" degli Enigma, che in effetti utilizza un sample di canti aborigeni taiwanesi) rende l'esperienza straniante... e vagamente lasciva. Il che spiegherebbe perché enormi falli tribali affiorino qua e là fra le capanne: hanno una loro funzione, in realtà, ma non ve la diremo. Una foto prima d'andare via, comunque, è d'obbligo.