L’immagine di Capri: una geografia personale
Capri è vista come il peggior incubo di ogni backpacker, il lato oscuro dello zaino in spalla. Certi viaggiatori temono di esaurire il proprio budget solo a pronunciarne il nome, e così anch’io prima di andarci. L’idea di scriverne una guida interamente dedicata mi poneva in una spiacevole e antipatica posizione nei confronti di un lavoro che già mi porta sufficienti frecciatine da parte degli amici, “che disgrazia eh, devi andare proprio a Capri!”. Insomma partivo con un evidente preconcetto per una destinazione che vedevo sì bella, ma che non consideravo l’equivalente nostrano della Persia, un piccolo Tibet al largo di Napoli o l’Isola di Pasqua del Mar Tirreno. Se avessi potuto vedermi in un ipotetico flash forward, qualche giorno dopo, boccheggiante e sudato a elemosinare una bottiglia d’acqua agli escursionisti del Sentiero dei Fortini, mi sarei pentito della mia superficialità. Scoprire che Capri non è Capri ha innescato in me, per proprietà transitiva, una sorta di crisi d’identità che ho compensato con una trance agonistica da viaggio mai provata prima, riducendomi a sognare la Pianura Padana come nemesi e a percorrere uno per uno tutti gli itinerari dell’isola, come se lavorassi per Google Street View anziché per Lonely Planet.
Capri, aldilà di Capri
Perché Capri è molto di più di una piazzetta dove il caffè costa 6 euro e tutti sfoggiano il loro completo più chic. Al di là dei flash dei paparazzi è un’isola piena di sentieri panoramici e belvedere, che rivelano architetture magnifiche e storie di personaggi enigmatici. Preparatevi dunque a familiarizzare col gergo dei marinai e a scoprire un’isola diversa da come sembra. Prendete la funivia che sale sul Monte Solaro, scendete verso Anacapri a piedi seguendo il sentiero tra boschi: l’immagine di Capri yacht-camicia-di-lino-e-cappello-di-paglia striderà con le caprette che dovrete schivare scendendo. Guardatevi attorno. Capri è innanzitutto poesia struggente e bellezza spregiudicata, panorami immensi e cibo buono. Gente accogliente e ricette semplici.
Ma va anche vista con occhi semplici. Basta superare il blocco del viaggiatore e dedicarle del tempo, curiosare, seguire i saliscendi, scarpinare nei boschi. Al di là dell’ostentazione c’è un’isola che è in primis selvaggia, è mare e scogli, vigne e oleandri, pescatori e marinai. Un’isola che profuma di limoni e salsedine. Solo liberandovi dell’immagine che avevate di Capri potrete scoprire il cuore contadino che alimenta la mente imprenditrice. La Capri della gioventù cresciuta col mare dentro, che il mare ve lo racconterà inondandovi di entusiasmo.
Il mare
Ricordandomi di essere in un’isola non potevo ignorare il mare. E a Capri è tanto limpido che mi sembrava di poter spingere lo sguardo fino al cuore fuso della terra. Allora sono salito su un gozzo per il periplo dell’isola: è il modo migliore per esplorarla. La Grotta Azzurra mi spaventava: pensavo che la sua aura super turistica potesse in qualche modo essere sinonimo di bassa qualità. Ma anche i più scettici si ricrederanno di fronte al suo spettacolo cromatico, alla suggestione poetica che ispira, allo smarrimento che suscita quell’ingresso nelle viscere della terra. Fu scoperta nella metà dell’Ottocento ed è stata il motore del successo internazionale di Capri, ma era conosciuta già ai tempi di Tiberio, che pare la usasse come piscina personale, raggiungibile con un tunnel da una delle sue ville. Oggi l’accesso alla grotta è minuscolo e occorre sdraiarsi per passare, mentre il barcaiolo afferra le catene ancorate alla roccia per farsi strada tirando. Si entra così in un mondo incantato di toni di azzurro lisergico, effetto dato dal riflesso della luce che penetra dalla parete sommersa. Si resta dentro una decina di minuti, un vero viaggio nel viaggio – peccato che il silenzio ammantato di azzurro sia rotto dall’eco delle canzoni intonate dai barcaioli dentro la grotta. Meglio però scegliere un orario stravagante per visitare la Grotta Azzurra, o l’attesa per entrare sarà lunghissima e si rischia di perdere tutta la magia, oltre che la pazienza.
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La Piazzetta
Certo a Capri c’è anche la Piazzetta, tempio moderno dell’ostentazione, ventre primigenio della reputazione snob dell’isola, santuario dove si consuma il rito apotropaico del caffè. Qui guardarsi attorno è d’obbligo, cercare nella valigia il vestito migliore da sfoggiare assolutamente non necessario.
E, sia messo agli atti, il caffè io l’ho ovviamente preso ed è stato un bel momento. Ma poi ho seguito il richiamo dei sentieri, perché posso pur sempre essermi sbagliato a riguardo di Capri, ma la tentazione dello scarpinare tra ville e rovine è stato irresistibile.
Villa Lysis
Villa Lysis, ad esempio, racconta una storia affascinante e decadente, quella del barone Jacques Fersen, un facoltoso parigino che trascorse a Capri gli ultimi anni della sua vita. Anni consumati tra l’amore per il compagno Nino Cesarini e quello per l’oppio (proprio nella sua fumeria privata, Fersen finì per suicidarsi nell’autunno del 1923, sciogliendo cinque grammi di cocaina in una coppa di champagne). La sua residenza, che lo scrittore definiva ‘un’acropoli di bellezza’, oggi è proprietà del Comune e una delle tante mete imperdibili di Capri, costruita per essere unica nel suo genere. In effetti, i tocchi di art nouveau, le influenze neoclassiche e i marmi pregiati ne fanno un luogo unico. Gli interni sono stati svuotati dei mobili, ma si può girare per le stanze (compresa la camera cinese, la fumeria al piano inferiore) e nel giardino, dove c’è un silenzio unico.
Il bello di viaggiare è che allarga gli orizzonti anche se sei a due passi da casa tua. A Capri ho imparato che non era lei a essere snob, tantomeno i suoi abitanti, ma solo una parte di chi la visita, e che forse con gli anni se n’è appropriata: l’immagine della città è diventata la città dell’immagine, delle vacanze dei VIP inseguiti da stuoli di paparazzi. Certo non è un posto economico, ma con qualche accorgimento si può anche risparmiare. C’è un salumiere sia a Marina Grande, sia in Centro che ad Anacapri, dunque se aveste esagerato col conto la sera prima, potete sempre ripiegare su un panino con la parmigiana di melanzane o la mortadella, per bilanciare l’economia di viaggio. Con meno di 10 euro si organizza un pranzo al sacco di tutto punto. Altrimenti crepi l’avarizia e date fondo ai vostri salvadanai: i ristoranti eleganti non mancano di certo.
Capri, in poltrona
Capri è di chi osa andarci. Di chi osa superare il luogo comune. Osate anche voi: non vi stancherete mai di ciò che vedrete. E se è vero che di questi tempi spostarsi non è semplicissimo, portate la montagna da Maometto e in attesa di tempi migliori, svaccati comodi sul divano corteggiate Capri sul grande schermo in attesa di nuovi orizzonti. Capri è infatti co-protagonista di film da sempre, grazie alla sua atmosfera spensierata, al suo tono elegante e sognatore e al suo volto fotogenico da isola sofisticata. Durante il boom del turismo negli anni ’50 e ’60 divenne nell’immaginario degli italiani la patria della bella vita. Con L’Imperatore di Capri di Luigi Comencini (1949), Totò la mostrò al grande pubblico consacrandone il mito che ancora oggi la caratterizza. La popolarità crebbe al punto che vennero prodotti Bellezze a Capri nel 1952, e Avventura a Capri, nel 1958, pellicole in cui l’isola sfila il palco agli attori, diventando in un certo senso anche il centro della trama. Per le riprese de La baia di Napoli (1960) sbarcarono a Marina Grande niente meno che Sophia Loren e Clark Gable: a Capri c’è chi lo ricorda ancora. Brigitte Bardot camminò invece sul tetto di Villa Malaparte per Il disprezzo, di Jean Luc Godard (1963), mentre la Piazzetta fu invasa di finti militari tedeschi ne La pelle di Liliana Cavani (del 1981, con Marcello Mastroianni e Claudia Cardinale). Più recente, invece, è la mini-serie di 5 video del cantante Liberato, diretta da Francesco Lettieri nel 2019: Capri Rendez-vous vi porterà dritti nelle atmosfere struggenti degli anni d’oro.