Al collo un filo di Danubio, sottobraccio volute barocche e addosso la veste d’ordinanza asburgica: Novi Sad è una città che, nonostante le dimensioni contenute, vi apparirà perennemente in festa. Volata via con cuore di colomba dalle angosce del Novecento – culminate nei bombardamenti del 1999 –, oggi sembra possedere l’ebbrezza che si dà soltanto a chi è appena uscito da un isolamento prolungato.

Vociante a tutte le ore nei suoi vicoli, e in estate pigramente allungata al sole sullo Štrand (la lunga spiaggia sulla banchina sinistra del Danubio), la seconda città serba vive sul crinale che separa l’Est dall’Ovest, i Balcani dall’Europa orientale. Difficile dire quale delle due Novi Sad prevalga, ma potete star certi che in una delle sue čarde (taverne) o lungo l’elegante promenade ritroverete la morbida sospensione del tempo di una serata nei Balcani. O magari sarà la vostra idea di Serbia a scomparire nelle atmosfere tutte da Mitteleuropa, tra colorate chiatte che scivolano sul Danubio e il profilo severo della Cittadella di Petrovaradin. Se è vero che passioni semplici abitano talvolta corpi complessi, tra sparuti edifici Bauhaus e la costernazione di una periferia troppo grigia per le sfavillanti luci del centro, Novi Sad ci ricorda quanto qui siano state trattenute le passioni semplici, magari celebrate in silenzio con un bicchiere di rakija o tracimate in un’orchestra di tamburitza, lo strumento a metà tra mandolino e chitarra che è testimone della compresenza di ungheresi, croati, slovacchi, montenegrini e rumeni.

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