L’antico complesso sacro khmer del Wat Phu costituisce una delle attrattive principali di ogni viaggio in Laos. Situato a 1400 m di altitudine sulle pendici della catena montuosa di Phu Pasak (conosciuta anche con i nomi di Phu Khuai e di Monte Pene), il Wat Phu Champasak vanta dimensioni piuttosto ridotte rispetto ai monumentali complessi monastici cambogiani di epoca angkoriana situati a Siem Reap, ma i suoi padiglioni in rovina, il santuario del lingam di Shiva con le sue ricche decorazioni, l’enigmatica pietra del coccodrillo e gli alti alberi che fanno da sfondo alla maggior parte del complesso offrendo ombra fresca e gradita ai visitatori, contribuiscono a creare un’atmosfera suggestiva e quasi mistica. L’insieme di questi elementi e la disposizione del sito - unica nell’architettura khmer - hanno indotto nel 2001 l’UNESCO a inserire questo complesso nella lista dei siti Patrimonio dell’Umanità.

Le iscrizioni in sanscrito e alcune fonti cinesi confermano che questo santuario era un importante luogo di culto già verso la metà del V secolo. Progettato come un’imitazione terrena del paradiso, il complesso del tempio faceva parte di un progetto di più vasta portata, che prevedeva anche la realizzazione di una rete stradale, città, insediamenti di vario genere e altri templi. Il complesso che si può vedere oggi è il frutto di secoli di costruzioni, ricostruzioni, cambiamenti e aggiunte; in particolare, gli edifici più recenti risalgono al tardo periodo angkoriano.

All’epoca del suo massimo splendore, questo tempio e la città vicina costituivano il centro politico ed economico più importante della regione. Purtroppo, nonostante la sua rilevanza storica, gli 84 ettari su cui si estende questo complesso rimangono pericolosamente esposti agli elementi atmosferici. Più in particolare, studi accurati hanno rivelato che questo luogo è seriamente minacciato dall’erosione dell’acqua e che - in mancanza di seri interventi di restauro - gli edifici sono destinati a crollare. Alcuni progetti finanziati dall’Italia e dal Giappone hanno contribuito a stabilizzare e a mettere in sicurezza due antichi canali costruiti a sud del complesso per drenare l’acqua dalle strutture centrali. Tuttavia, l’altrettanto importante canale situato a nord è ormai completamente in rovina, un fatto che sta determinando una lenta ma costante distruzione della parte settentrionale del complesso. Se desiderate valutare la portata dell’opera di restauro, vi basterà confrontare i gradoni terrazzati e i padiglioni situati nel lato meridionale del sito - tuttora relativamente intatti - con quelli della parte settentrionale.

Lunghi anni di lavoro della Missione Archeologica Italiana e l’instancabile impegno dell’archeologa Patrizia Zolese - la maggiore esperta del Wat Phu, impegnata nel progetto dal 1990 - hanno consentito di realizzare la prima mappa dettagliata del sito e dei 400 kmq circostanti, un’opera che ha permesso di scoprire molte cose sullo stile di vita degli antichi abitanti di questa zona.

Nei pressi della biglietteria, i visitatori possono prendere un golf cart fino al baray (stagno), da dove bisogna proseguire a piedi.

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