Da vedere

Castello di San Pietro

  1. Bodrum, Turchia
  2. Museo - Museo

L’invasione mongola del’Anatolia nel 1402 sotto l’egida di Tamerlano, non solo ritardò la conquista della Costantinopoli bizantina da parte dell’impero ottomano, ma consentì anche ai Cavalieri Ospitalieri di San Giovanni, all’epoca insediati a Rodi, di edificare un castello nell’antica Alicarnasso. Il castello fu eretto con il marmo e le pietre del celebre mausoleo. La città prese il nome di Petronio (da cui il nome turco "Bodrum").

I lavori di edificazione del Castello di San Pietro terminarono nel 1437, e nel corso dei decenni successivi i cavalieri continuarono ad ampliarlo con nuove strutture difensive, tra cui fossati, mura e cisterne per l’acqua. Tuttavia, in seguito alla conquista del quartier generale dell’ordine dei cavalieri a Rodi, da parte di Solimano il Magnifico nel 1522, il contingente di stanza a Bodrum fu costretto ad abbandonare il castello, che venne prontamente trasformato in moschea. Per secoli nessuno verificò sul campo le reali potenzialità difensive del castello, fino alla seconda guerra mondiale quando fu bombardato dalle truppe francesi. Durante l’attacco crollò un minareto, che il governo turco fece ricostruire nel 1997.

Il restauro del castello fu avviato intorno al 1960 e nel 1986 fu istituito il Museo di Archeologia Subacquea di Bodrum, che raccoglie i vari reperti recuperati dalle spedizioni archeologiche subacquee. L’interessante e ben illuminato museo è ricco di pannelli informativi, modelli in scala e video, a complemento dei reperti antichi: per visitarlo calcolate circa due ore.

Percorrendo la rampa che sale al castello, da cui si gode di un meraviglioso panorama, e superato lo stemma dei Crociati in marmo scolpito, si arriva al cortile principale del castello, al cui centro troneggia un antico gelso. Nel cortile è inoltre possibile ammirare una splendida collezione di anfore, con pezzi che spaziano dal XIV secolo a.C. ai giorni nostri, tutti ritrovati nelle acque della Turchia sud-occidentale. Dalla caffetteria nel cortile, ornata di sculture antiche, si accede al piccolo laboratorio per la lavorazione del vetro, presso cui assistere alla creazione di bottiglie e di gioielli simili a quelli ritrovati sui relitti delle antiche navi affondate nelle acque della costa turca.

Nella cappella si può vedere un piccolo modello in scala e una ricostruzione a grandezza naturale della poppa di una nave tardo-romana ritrovata al largo della costa di Yassıada. I visitatori possono passeggiare sui ponti, stare al timone e scendere sottocoperta per osservare il carico di anfore da vino.

Seguendo il percorso a sinistra della cappella, si sale alle torri e alla Sala del Relitto dei Vetri, che ospita una nave di 16 m di lunghezza per 5 m di larghezza: l’imbarcazione trasportava un carico di tre tonnellate di oggetti in vetro e naufragò nel 1025 nel corso di un viaggio tra la Siria dei Fatimidi e il Mar Nero. Il ritrovamento del relitto fu accolto da grande entusiasmo da archeologi e storici, sia perché rivelava l’entità delle antiche conoscenze di ingegneria navale dei Fatimidi, sia perché gettava una luce sulle loro tecniche di produzione e decorazione del vetro.

Proseguendo si raggiunge la piccola Sala dei Vetri, in cui sono esposti oggetti in vetro ritrovati in mare, risalenti a un periodo tra il XV secolo a.C. e il XIV secolo d.C., tra cui perle di epoca micenea, bottiglie del periodo romano e pesi islamici. Nella sala successiva si può ammirare una piccola raccolta di monete, alcuni delle quali dell’antica Caria.

Nella Torre francese sono custoditi reperti provenienti dal Tektaş Burnu, l’unico relitto navale che sia stato interamente recuperato risalente al periodo della Grecia classica (datato a un periodo compreso tra il 480 a.C e il 400 a.C.). Tra gli altri oggetti in mostra, numerose anfore, talismani in forma di dischi marmorei, utensili da cucina e fotografie degli scavi stessi, effettuati nel 2001 al largo della costa della Penisola di Çesme.

La successiva Sala della Principessa di Caria conserva una corona d’oro, collane, braccialetti, anelli e una meravigliosa ghirlanda aurea di foglie di mirto. Si dice che questi oggetti siano appartenuti alla regina della Caria, Ada (risalita al trono in seguito alla conquista di Alicarnasso a opera di Alessandro Magno), ma è più probabile che siano appartenuti a una sconosciuta donna dell’alta società.

A guardia dell’angolo sud-orientale del castello si erge la Torre inglese, edificata durante il regno di Enrico IV d’Inghilterra (1399-1413). Nel 1401 Enrico IV fu il primo (e unico) re inglese ad accogliere un imperatore bizantino, Manuele II Paleologo, e a sostenere la causa bizantina contro la minaccia musulmana. La Torre inglese divenne un simbolo del supporto dato alla loro causa comune.

Purtroppo poco valorizzato dai curatori del museo, questo patrimonio storico oggi appare piuttosto come un refettorio di epoca medievale, una stanza arredata con un lungo tavolo da pranzo in posizione centrale circondato da armature, corna di cervo e stendardi dei Grandi Maestri dei Cavalieri Ospitalieri di San Giovanni e dei loro avversari turchi. Le musiche medievali per flauto che risuonano nell’aria contribuiscono a conferire al luogo l’aspetto posticcio di un ristorante a tema cavalleresco.

Immediatamente a nord della torre si trova la Sala dell’Uluburun, con una straordinaria galleria di relitti dell’Età del Bronzo. Il pezzo forte è rappresentato dall’Uluburun, il relitto di una nave del XIV secolo a.C., ritenuto il più antico esistente al mondo. Sono esposti anche modelli a grandezza naturale dell’interno della nave. La Sala del Tesoro contiene una profusione di oggetti preziosi, tra cui gioielli in oro, pugnali in bronzo, scatole per cosmetici in avorio, tavole da scrittura in legno risalenti alla regione di Canaan, e lo scarabeo d’oro della regina egizia Nefertiti.

Proseguendo verso nord si accede alla Torre Gatineau, tramite la quale si scende verso le prigioni sotterranee. Sulla porta interna si legge Inde Deus abest ("Qui Dio non esiste"). La prigione fu utilizzata dai cavalieri tra il 1513 e il 1523 come luogo di isolamento e di tortura. Un cartello avverte che la visione degli strumenti di tortura potrebbe non essere adatta ai bambini.