Acropoli
- Atene, Grecia
- Attrazione - Sito storico

L’Acropoli è tra i più importanti siti antichi del mondo occidentale. Dominata dal Partenone, sovrasta Atene ed è visibile da quasi ogni punto della città. Le sue strutture nel caratteristico marmo pentelico risplendono candide nel sole di mezzogiorno, per assumere gradualmente un colore ambrato al calare del sole; la notte, illuminate artificialmente, si ergono maestose. È uno spettacolo davvero magnifico, che esercita un impatto fortissimo su qualunque osservatore.
Eppure, per quanto affascinanti, questi monumenti non sono che pallidi resti dell’Atene di Pericle, quando vennero scelti i materiali, gli architetti, gli scultori e gli artisti migliori per realizzare la zona sacra dedicata al culto della dea Atena. A quell’epoca Atene era abbellita da edifici imponenti riccamente decorati e colorati, oltre che da statue gigantesche in bronzo o in marmo rivestite d’oro e incastonate di pietre preziose.
I primi insediamenti presso l’Acropoli risalgono al Neolitico (4000-3000 a.C.), ma sono stati anche rinvenuti resti di strutture sacre dedicate alla dea Atena databili all’età micenea. L’Acropoli rimase abitata fino alla fine del VI secolo a.C., quando, nel 510 a.C., l’oracolo di Delfi dichiarò che doveva divenire di esclusivo dominio degli dèi.
Alla vigilia della battaglia di Salamina (480 a.C.), tutti gli edifici dell’Acropoli furono rasi al suolo dai persiani. Fu quindi Pericle ad avviarne la preziosa ricostruzione, trasformando l’Acropoli nella città dei templi che sarebbe stata considerata in seguito la massima espressione dell’arte classica greca.
I saccheggi subiti negli anni di occupazione straniera, i reperti trafugati e i restauri impropriamente eseguiti dopo l’indipendenza hanno lasciato il segno, insieme al continuo passaggio di visitatori e ai vari terremoti. In tempi più recenti, i monumenti hanno subito l’aggressione delle piogge acide e dell’inquinamento. Un anno particolarmente funesto fu il 1687, quando i veneziani attaccarono i turchi e aprirono il fuoco sull’Acropoli provocando un’esplosione nel Partenone, dove i turchi conservavano la polvere da sparo. L’incendio che ne segui devastò tutti gli edifici del sito.
Attualmente rimangono in corso imponenti lavori di restauro e molte delle sculture originali sono state trasferite nel Museo dell’Acropoli e sostituite con alcune copie. L’Acropoli è stata dichiarata dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità nel 1987.
Porta Beulé e Monumento di Agrippa
Una volta entrati nell’Acropoli, dopo aver percorso un breve tratto del sentiero noterete alla vostra sinistra la Porta Beulé, il cui nome deriva dall’archeologo francese Ernest Beulé che la scoprì nel 1852. Il piedistallo alto 8 m che si trova sulla sinistra, a metà della rampa a zigzag che porta ai Propilei, un tempo era sormontato dal Monumento di Agrippa.
La statua di bronzo raffigurante il generale romano alla guida di un carro fu eretta nel 27 a.C. per celebrare una vittoria nella corsa dei carri ai Giochi Panatenaici.
Propilei
Nell’antichità i Propilei costituivano l’imponente ingresso all’Acropoli. Progettati dall’architetto Mnesicle tra il 437 e il 432 a.C., questi portici gareggiano con il Partenone quanto a magnificenza e armonia. Sono formati da un atrio centrale con due ali ai lati e ciascuna sezione dava accesso alla "città alta". La porta centrale (la più grande) dava sulla Via Panatenaica e il portico occidentale doveva essere davvero impressionante, con le sei colonne doppie, doriche all’esterno e ioniche all’interno, di cui soltanto la quarta è stata restaurata. Il soffitto dell" atrio centrale era dipinto in blu scuro trapuntato con stelle d’oro; l" ala settentrionale ospitava le tavolette votive (pinakothiki), mentre quella meridionale era l’anticamera del Tempio di Atena Nike.
I Propilei, allineati con il Partenone, sono il più antico esempio di edificio progettato in relazione a un altro. Rimasero intatti fino al XIII secolo, quando cominciarono a essere oggetto di diversi lavori di ampliamento. Poi furono gravemente danneggiati nel XVII secolo a causa dell’attacco a sorpresa dei veneziani, che fece esplodere le polveri dell’arsenale turco lì custodite. Nel XIX secolo l’archeologo Heinrich Schliemann finanziò la rimozione di una delle sovrastrutture aggiunte all’originale, una torre franca, e fra il 1909 e il 1917 furono intrapresi numerosi lavori di ricostruzione. Altri interventi di restauro furono compiuti dopo la seconda guerra mondiale.
Tempio di Atena Nike
Il piccolo e armonioso Tempio di Atena Nike (ossia "vittoriosa") sorgeva un tempo su una piattaforma posta in cima al ripido versante sud-occidentale dell’Acropoli, alla destra dei Propilei. Nel 2003 il tempio fu smantellato pezzo per pezzo in seguito alla controversa decisione di restaurarlo altrove per maggiore praticità, ma oggi risplende nuovamente sul sito originario dopo i complessi lavori di riassemblaggio. Già i turchi l’avevano smembrato, nel 1686, per posizionare sulla piattaforma un grande cannone. Fu poi meticolosamente ricomposto fra il 1836 e il 1842, ma 60 anni dopo venne nuovamente smontato perché la piattaforma stava cedendo.
Progettato da Callicrate, fu costruito in marmo pentelico tra il 427 e il 424 a.C. La struttura è a pianta pressoché quadrata, con quattro armoniose colonne ioniche poste a ciascuna estremità. Il fregio, di cui restano soltanto alcuni frammenti, raffigurava scene mitologiche ed episodi della battaglia di Platea (479 a.C.) che vide lo scontro tra ateniesi da una parte e beoti e persiani dall’altra. Alcune sue parti sono conservate presso il Museo dell’Acropoli, così come un certo numero di rilievi compreso quello che raffigura Atena Nike mentre si allaccia un sandalo. Della dea il tempio ospitava anche una statua in legno.
Statua di Atena Promachos
Proseguendo lungo la Via Panatenaica, noterete sulla sinistra i resti dei piedistalli delle statue che un tempo sorgevano ai lati del sentiero. Su uno di essi si ergeva la statua di Atena Promachos ("che combatte in prima fila"). Alta 9 m, era opera di Fidia e simboleggiava l’invincibilità ateniese nei confronti dei persiani: la dea, che portava l’elmo sul capo, teneva uno scudo nella mano sinistra e una lancia nella destra. Nel 426 d.C. la statua fu trasferita a Costantinopoli dall’imperatore Teodosio. Nel 1204 la mano della scultura aveva ormai perso la lancia, per cui sembrava che fosse atteggiata in un gesto di saluto. Gli abitanti della città giunsero così alla convinzione che fosse stata la dea a invitare i crociati a Costantinopoli e la fecero a pezzi.
Partenone
Il Partenone è il monumento che più di ogni altro simboleggia lo splendore dell’antica Grecia. Il tempio è dedicato ad Atena Parthenos ("vergine"), che incarnava il potere e il prestigio della città. Si tratta del più grande tempio dorico mai costruito nel paese e l’unico a essere realizzato interamente in marmo pentelico (a esclusione del tetto in legno). La sua costruzione richiese 15 anni di lavori.
Eretto nel punto più alto dell’Acropoli, il Partenone svolgeva una duplice funzione: ospitava la grandiosa statua di Atena commissionata da Pericle e custodiva il Tesoro della città. L’edificio, che sorgeva sul sito di almeno quattro templi precedenti dedicati ad Atena, fu progettato da Ictino e Callicrate per essere il monumento più importante dell’Acropoli. I lavori di costruzione furono portati a temine in tempo per le Grandi Panatenee del 438 a.C.
Il tempio si compone di otto slanciate colonne doriche allineate su ciascun fronte e di 17 su ciascun lato. Per ottenere la perfezione della forma, le linee dell’edificio furono ingegnosamente curvate in modo da correggere le deformazioni prospettiche; le fondamenta sono pertanto lievemente concave e le colonne leggermente convesse e rastremate verso l’alto, cosicché l’insieme risulta perfettamente dritto e squadrato. Sotto la supervisione di Fidia, una squadra di scultori coordinata da Agoracrito e Alcamene lavorò al frontone e alle parti scolpite del fregio, chiamate metope. Tutte le figure erano colorate a tinte vivaci e dorate.
Le metope sul lato orientale raffiguravano gli dèi dell’Olimpo in lotta contro i giganteschi Titani, mentre quelle sul lato occidentale ritraevano Teseo alla guida dei giovani ateniesi nella battaglia contro le Amazzoni. Le metope del lato meridionale rappresentavano invece la contesa tra i lapiti (antico popolo della Tessaglia) e i leggendari centauri, metà uomini e metà cavalli, durante una festa nuziale, mentre quelle del lato settentrionale erano dedicate al sacco di Troia.
Il fregio ionico, che raffigurava la processione panatenaica (v. lettura La processione panatenaica), fu in gran parte danneggiato dall’esplosione del 1687 e in seguito sfregiato dai cristiani. La parte più lunga (75 m) tra quelle rimaste, costituita dai cosiddetti Marmi del Partenone, fu asportata da Lord Elgin all’inizio del XIX secolo ed è attualmente conservata al British Museum di Londra. Il governo britannico continua a ignorare le richieste di restituzione avanzate dal governo greco.
Il soffitto del Partenone, come quello dei Propilei, era dipinto di blu e punteggiato di stelle dorate. All’estremità orientale sorgeva una cella (la sala interna al tempio, o naos) a cui potevano accedere soltanto gli iniziati. Qui si trovava la statua di Atena Poliás (Atena della Città), per la quale in origine era stato costruito il tempio. Considerata una delle meraviglie del mondo antico, fu disegnata da Fidia e completata nel 432 a.C. Presentava una struttura interna in legno e si ergeva per quasi 12 m su un piedistallo. Il volto, le mani e i piedi erano d’avorio, gli occhi pietre preziose. La dea indossava una lunga veste d’oro e aveva sul petto la testa di Medusa scolpita nell’avorio. Nella mano destra teneva una statua di Atena Nike (simbolo di vittoria) e in quella sinistra una lancia, con un serpente alla base. Sul capo portava un elmo con una sfinge e due grifoni.
Nel 426 d.C. anche questa statua fu portata a Costantinopoli, dove se ne persero le tracce. Ne esiste una copia di epoca romana (l’Atena Varvakeion) conservata al Museo Archeologico Nazionale.
Eretteo
Sebbene il Partenone fosse il monumento più imponente dell’Acropoli, destinato a rappresentare la dea protettrice della città, non era un vero e proprio luogo di culto. Il ruolo di santuario spettava piuttosto all’Eretteo, che sorgeva nella parte più sacra dell’Acropoli, perché era qui che secondo il mito Poseidone aveva conficcato il suo tridente e che Atena aveva piantato l’albero di ulivo (v. In gara per Atene). Il tempio, che prende il nome da Erittonio, mitico re di Atene, era dunque dedicato al culto di Atena, Poseidone ed Erittonio.
L’Eretteo è immediatamente riconoscibile per le sei figure femminili di dimensioni superiori al reale che sostengono il portico meridionale. Si tratta delle Cariatidi, così chiamate perché raffiguravano donne originarie di Karyai (l’odierna Karyés, in Laconia). Le statue che si vedono sono copie in gesso: gli originali (eccetto quello rimosso da Lord Elgin ed esposto al British Museum) sono conservati al Museo dell’Acropoli.
L’Eretteo faceva parte del progetto di Pericle per l’Acropoli, ma la sua costruzione fu posticipata a causa dello scoppio della guerra del Peloponneso. I lavori furono avviati soltanto nel 421 a.C., otto anni dopo la morte dello statista, e furono completati all’incirca nel 406 a.C.
Dal punto di vista architettonico l’Eretteo è il monumento più insolito dell’Acropoli, ma anche una delle massime espressioni dello stile ionico. Ingegnosamente costruito su più livelli per compensare l’irregolarità del terreno roccioso, comprende un tempio principale suddiviso in due celle - una dedicata ad Atena, l’altra a Poseidone - a simboleggiare la riconciliazione delle due divinità dopo la contesa che le aveva viste rivali. Nella cella di Atena c’era una statua in legno d’ulivo che raffigurava Atena Poliás con in mano uno scudo decorato con una testa di gorgone. Su questa scultura veniva deposto il sacro peplos (un magnifico scialle color zafferano) a conclusione delle Grandi Panatenee.
Il portico settentrionale è formato da sei colonne ioniche; secondo la leggenda, le crepe sul pavimento sarebbero state provocate dal fulmine inviato da Zeus per uccidere il re Erittonio, colpevole di avere ucciso a sua volta un figlio di Poseidone. Più a sud sorgeva la tomba di Cecrope, altro mitico re di Atene.
L’Eretteo fu l’ultimo edificio pubblico costruito sull’Acropoli in epoca antica, fatta eccezione per un piccolo tempio dedicato Roma e Augusto, oggi non più esistente.