Perché andare
Chiudete gli occhi per un attimo e immaginate di essere lì. Le onde che si frangono contro un muraglione che sopporta da decenni le offese del tempo, una giovane coppia abbracciata in un vicolo tra case parzialmente in rovina, le chitarre e le voci armoniose sul ritmo sincopato dettato dai tamburi, la luce del sole che colpisce di sbieco i muri scrostati, un bel ragazzo in guayabera appoggiato a una Lada, l'odore di fumi di scarico e dopobarba da poco prezzo, turisti con la barba alla Hemingway, Che Guevara su un cartellone, una banconota, un portachiavi, una T-shirt...
Nessuno può vantarsi di aver inventato L'Avana. È troppo audace, troppo contraddittoria e - nonostante cinquant'anni di incuria quasi fatale - troppo assurdamente bella. Come riesca a esserlo è qualcosa che sfugge a ogni logica. Forse è merito della sua storia spavalda, del suo spirito da sopravvissuta o dell'indefessa energia della salsa che riverbera sui muri e la gente empaticamente assorbe ed emana a sua volta. Non venite all'Avana per cercare risposte. Veniteci con la mente aperta e lasciatevi lentamente sedurre.